Il capitano Ultimo: in difesa della divisa

mercoledì 14 aprile 2021


Uguaglianza e fratellanza militare, il ricordo di Jole Santelli, la difesa del generale Francesco Paolo Figliuolo dallattacco alla divisa di Michela Murgia, il sacrificio accompagnato da un messaggio: “La vita è un dono”. Di questo e molto altro ha parlato Sergio De Caprio, meglio noto come capitano Ultimo, nell’intervista rilasciata a L’Opinione.

Cosa ne pensa dell’attacco che la scrittrice Michela Murgia ha portato al generale Francesco Paolo Figliuolo e alla sua divisa?

Noi siamo “una schiera” di combattenti che si riconosce nel generale Figliuolo. Ammiriamo il generale e tutti i soldati, di ogni ordine e grado, che sulla strada del sacrificio, anche estremo, hanno consentito la costruzione di questo nostro Paese, di questa Repubblica, che è l’Italia. La nostra Costituzione nasce dal sacrificio e dal sangue versato da tanti soldati per la democrazia e la libertà. Penso ai martiri delle Fosse Ardeatine, di Radicofani, di Cefalonia, di Torre di Palidoro (dove avvenne la fucilazione del vicebrigadiere dei carabinieri, Salvo D’Acquisto, il 23 settembre 1943 ndr). Percorsi di battaglie in cui i soldati italiani hanno fatto capire al mondo cosa significa il valore dell’egualitarismo e della fratellanza dei militari, l’amore che hanno per il Popolo e che li spinge a dare tutto quello che hanno, senza volere nulla in cambio. È questo il posto in cui vivono i militari. Certo, accettiamo le opinioni diverse, anche quando non le condividiamo, o le disprezziamo come quelle della scrittrice Murgia, ma andiamo avanti, fianco a fianco, come “una schiera”.

Lei è stato un emblema nella lotta alla mafia, ha ereditato tantissimo dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa, anche il valore del rispetto delle persone oltre che delle divise?

Io ho seguito gli insegnamenti dei carabinieri, soprattutto quelli di basso grado fino al “nostro comandante” il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Fu lui, con la sua visione strategica innovativa nella lotta anticrimine, col suo modo di farci diventare invisibili, con il suo concepire “l’essere carabiniere, l’essere lo Stato” a permettere di sconfiggere il terrorismo e la criminalità, anche mafiosa. Tutto il resto viene dopo e noi siamo chiamati a seguire quel suo esempio. Io non sono niente, sono uno dei tanti che ha donato ciò che aveva, senza volere niente in cambio. Questo è l’insegnamento profondo del generale dalla Chiesa e quello che abbiamo accettato di tramandare ai carabinieri più giovani. Sono sicuro che loro sapranno fare meglio di me.

Oggi lei è in pensione, dopo aver servito tanti anni l’Arma dei carabinieri. Alle generazioni nate negli anni successivi all’arresto di Salvatore Riina come racconta quella stagione?

Racconto loro che l’uguaglianza e la fratellanza militare sono valori che rendono invincibili un gruppo di persone. Questo fa la differenza con i mercenari e i demotivati. A questi carabinieri, alle nuove generazioni voglio dire che un pugno di uomini uniti possono essere invincibili, al di là delle armi e dei mezzi di cui dispongono. Questa fratellanza, questo modo di essere carabinieri, dividendo quel che si ha in parti uguali, di essere uguali davanti al pericolo, è un bene prezioso che non dobbiamo far disperdere da chi lavora per la carriera, per una medaglia o per praticare il dominio sui sottoposti. Tutto questo richiede sacrificio, amore, maturità. Quello stesso amore lo ritrovo negli occhi dei carabinieri che incontro per strada. Un amore forte, che esiste e che ci aiuterà ad andare avanti.

Lei ha più volte raccontato di convivere con la paura ma anche di affrontarla con determinazione, senza mai perdere la speranza. Ritiene che le nuove generazioni si arrendano senza combattere per ciò in cui credono?

No, credo che le ultime generazioni abbiano il giusto coraggio per combattere. Il coraggio devono farlo convivere con la naturale paura, tramutandola in un alleato prezioso con il quale raggiungere consapevolezza, equilibrio, saggezza. Per farli arrivare a compiere le scelte più giuste, a vincere, non dobbiamo lasciarli soli, abbandonati al loro destino. Non possiamo far vedere loro che gli “anziani”, anziché donarsi completamente, cercano ancora di primeggiare, volendo solo dominare senza fine. I giovani vanno visti come figli e fratelli. Le nuove generazioni sono il nostro orgoglio. Puntiamo tutto su di loro.

Oggi è assessore nella Regione Calabria, voluto fortemente dalla compianta Presidente Jole Santelli. Che ricordo ha di lei?

Una persona, una donna, una combattente, una figlia della Calabria più bella. Amava la sua terra ed era fiera di essere calabrese. Poneva il bene comune prima di ogni altro obiettivo, indipendentemente dall’appartenenza politica. Ricorderò questo suo modo di essere, questa sua strenua difesa della comunità. Lei credeva nelle bellezze e nelle eccellenze del suo popolo. Mi resterà nel cuore, cercherò di continuare il suo cammino, mettendo in atto il suo volere. Anche per questo mi sono donato completamente alla terra di Calabria, ingiustamente abbandonata, dimenticata ed umiliata. Qui ho trovato gente che ricambia con amore, con valori importanti, con una sensibilità davvero unica. Negli occhi i calabresi hanno qualcosa di speciale, ti accorgi di una radice greca che ancora vive in loro, bellissima, che appartiene al Mediterraneo ed è un fiore all’occhiello della nostra Italia.

Ci racconta come è nata l’associazione “Volontari Capitano Ultimo" e l’attività della casa-famiglia?

Prima è nata l’associazione di volontari poi abbiamo creato la casa-famiglia, per i minori. Oggi abbiamo con noi dieci ragazzi, a cui forniamo sostegno, cercando di fare in modo che si autodeterminino e che possano gestire la propria vita. Così potranno scegliere e costruirsi il futuro, senza perdere la loro personalità, la loro sensibilità. Per costruire un’autosufficienza che li protegga dalle dipendenze e dallo sfruttamento. Abbiamo creato dei laboratori, un orto, una pizzeria, una pasticceria, un laboratorio di pelletteria. I prodotti li offriamo ai nostri visitatori, Il ricavato lo portiamo davanti a un povero altare nella nostra “chiesa-capanna”, lo ridistribuiamo secondo il bisogno dei poveri che vivono qui con noi, che qui costruiscono il proprio riscatto sociale, come i detenuti che sono in prova. Una testimonianza concreta che tutti possono cambiare e recuperare dignità. Insomma, un pezzo di mondo, che molti vorrebbero negare, tenere nascosto. Noi difendiamo gli “ultimi” e crediamo che tutti hanno un talento da poter offrire. Alla fine, siamo tutti esseri umani, non possiamo vivere di competizioni e dominio su altri esseri umani. Non possiamo far altro che trascorrere il poco tempo che ci è concesso nel valorizzare quello che abbiamo avuto come figli di Dio. Dobbiamo rispettare gli altri, perché gli altri sono un dono del Signore.

Immagini che questa nostra intervista le leggano milioni di italiani, magari proprio quelli che oggi non hanno fiducia nel futuro, che hanno paura e che hanno disperso i valori. A loro cosa direbbe?

Mi sento di dire di ricordarsi che la vita è un dono, che le battaglie di civiltà si fanno anche per chi non conosciamo, con persone diverse da noi. Ricordatevi che gli italiani sono un grande popolo, composto di famiglie, persone che si sono battute in ogni parte del mondo per l’autodeterminazione dei popoli. Un popolo che ha fatto della generosità un esempio unico, che ha una sensibilità immensa, che ha praticato nell’arte, nella cucina, nella musica, nella poesia. La sensibilità italiana è un patrimonio prezioso. Ognuno deve dare il proprio contributo. Questo popolo è legato, appartiene alla bandiera, verde, bianca e rossa. E in questa bandiera c’è un pezzetto di ognuno di noi, c’è un piccolo francobollo di posto per ognuno di noi, anche del più piccolo, del più umile e insignificante di noi. È la nostra bandiera, è splendida per questo.


di Alessandro Cucciolla