Il calcio: tra orgoglio e pregiudizio della cultura italiana

“Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del goal. Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica” (Pier Paolo Pasolini).

Quante emozioni racchiuse all’interno di un campo di calcio, 90 minuti in cui uomini e donne, bambini e anziani si identificano “poeticamente” nella propria squadra. Bandiere, simboli, inni, mascotte che diventano rappresentazione di un senso di appartenenza, un rituale e una simbologia che esprimono “l’essere parte di”.

Esaltazione per eccellenza della gioiosa e goliardica tifoseria è quella nazionale, quando a dare il calcio al pallone sono le star del proprio Paese. Campionati calcistici che vedono protagoniste squadre appartenenti ad usi e costumi diversi, popoli che si scrutano, si studiano e si uniscono attraverso un’unica passione. Con passione i tifosi, in questa estate 2021, timidamente e con precauzione pandemica si riuniscono per inneggiare alla propria squadra nel Campionato europeo.

La squadra diviene contenitore identitario, contenitore emotivo all’interno del quale depositare speranze e orgoglio. Orgogliosamente si canta l’inno nazionale, orgogliosamente si espone la bandiera e ci si veste dei colori rappresentativi della propria squadra. Identità transitoria, si definisce nell’ambito della psicologia sociale, il fenomeno che vede protagonisti durante queste manifestazioni calcistiche anche persone che abitualmente non si interessano di calcio.

Manifestazioni calcistiche che permettono di sperimentare il senso di appartenenza nazionale, consentono di testare “l’essere parte di” attraverso il vissuto emozionale stimolato dalla gioia di un rigore segnato o dalla frustrazione per un goal subito. Il goal annulla le differenze di età, di cultura, di estrazione sociale, non esiste più destra o sinistra, Nord o Sud, tutti contenuti simbolicamente nel “ventre” del campo da calcio.

Il rettangolo verde diviene il luogo all’interno del quale si partorisce il noi. Il “noi nazionale” che durante la competizione calcistica europea viene esaltato e orgogliosamente difeso. Orgoglio celebrato dalle parole di Antonio Gramsci, quando scrive che “il calcio è il regno della lealtà umana esercitata all’aria aperta.” Lealtà che dura il tempo del campionato e che “abortisce” facilmente il noi appena il fischio dell’arbitro segna la fine della tanto amata competizione calcistica.

L’orgoglio, la gioia e la “poetica lealtà” protagonista della compatta tifoseria nazionale, alla chiusura dei giochi, lasciano il posto all’io, al tu, al voi che coniugano le declinazioni delle differenze e delle indifferenze. Quante emozioni contenute in un pallone, quante condivisioni contenute in un campo di calcio, quante ambizioni, gioie ed esaltazioni in un goal segnato e quanto sconforto per un rigore subito. Quanta forza aggregativa in un gioco e quanta debole condivisione nelle divisioni politiche, nelle differenze sociali, nei soprusi razziali. Quanta mancanza di poesia e di lealtà fuori dal campo degli Europei di calcio del 2021, quanta mancanza di forza nel “noi” quando non è un fischietto a dare il via.

(*) Psicoanalista

Aggiornato il 25 giugno 2021 alle ore 11:47