lunedì 26 luglio 2021
La vicenda, per certi versi inquietante, evidenzia le resistenze di una parte della Pubblica amministrazione che ancora oppone un’assurda resistenza alla trasparenza considerandola un fastidio e non un servizio e il paradosso del cittadino costretto a doversi difendere persino in Tribunale per l’esercizio di un legittimo diritto che, come si legge negli atti processuali, avrebbe provocato ansia, turbamento e stress nei funzionari pubblici.
I fatti: un Comune “stressato” dalle continue richieste di accesso agli atti di un cittadino denuncia quest’ultimo, ex articolo 81 e 340 del Codice penale, “per avere turbato mediante plurime richieste d’accesso agli atti amministrativi la regolarità dei servizi del Comune con continue e immotivate richieste di accesso gli atti così da impegnare totalmente dal luglio 2011 al 2014 i servizi tecnici e legali a copiare gli atti per rispondere ai quesiti posti dallo stesso”.
A seguito della denuncia il giudice di primo grado, nel 2018, condanna il cittadino, ritenendo che lo stesso abbia bombardato di richieste gli uffici e che, nonostante la legittimità delle richieste di accesso, “abbia volontariamente provocato un turbamento nella regolarità dei servizi del Comune con richieste caratterizzate da anomala frequenza e intensità, spesso senza effettiva motivazione, così compiendo un “abuso” nell’esercizio del diritto pur riconosciuto dall’articolo 22 legge numero 241 del 7 agosto 1990”.
La Corte d’Appello di Firenze nel 2019 assolve il poveretto, evidenziando come le numerose richieste rappresentino un diritto e non un reato. Ciononostante, il Comune e i funzionari propongono ulteriore appello alla sentenza. La Corte di Cassazione finalmente con la sentenza numero 25296/2021 pone fine all’assurda vicenda, conferma la sentenza della Corte d’Appello, esclude nella fattispecie il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico e ricorda che la Pubblica amministrazione dopo aver accertato la sussistenza di un motivato interesse alla richiesta di accesso o previsto dalla norma ha l’obbligo di adottare le misure organizzative idonee a garantire l’esercizio del diritto previsto dalla norma.
“Nessuna interruzione di un ufficio o pubblico servizio, anzi vale il principio secondo cui l’esercizio di un diritto (…) esclude la punibilità (articolo 51, comma 1, Codice penale). In conclusione, l’attività della Pubblica amministrazione è per definizione pubblica e la trasparenza dovrebbe essere non concessa, non osteggiata, ma favorita sempre. L’ufficio pubblico è la casa del cittadino e la disorganizzazione degli uffici pubblici non può essere una scusa per osteggiare il diritto alla trasparenza.
È anche vero che la trasparenza “interna” dell’organizzazione amministrativa, con definizione di chiari ruoli e responsabilità e una chiara mappatura di processi e procedimenti favorisce l’erogazione di migliori servizi pubblici e la trasparenza “esterna” per i cittadini. Ma adesso chi risarcirà il cittadino per l’ansia, l’enorme stress e il turbamento subito dal Comune?
(*) Responsabile Osservatorio Trasparenza Aidr
di Laura Strano (*)