Nuno e il delfino

Setubal, Portogallo, centoventimila abitanti e una ventina di delfini, che contribuiscono alle finanze locali mostrandosi in un paio di punti, sempre quelli, dello specchio di mare di fronte la città. Su uno dei gommoni che portano i turisti dagli amici cetacei stanno salendo marito, moglie e figlia diciottenne. Lui è anziano, ha cappello di paglia con banda rossa e blu, occhiali scuri. Si imbarcano per primi, ma il pur bravo marinaio-intrattenitore, nell’aiutarlo, si distrae, e l’uomo scivola in acqua. Bagnando solo una gamba, avvolta in pantalone chiaro. Non dice nulla. Lo sollevano, il ragazzo si scusa, infinitamente, l’uomo sale. La famiglia si siede a prua, sull’unica panca: quelli dietro sono sedili simili a selle motociclistiche, una trentina su tre file. La moglie lo accarezza, quasi per scusarsi di non essere intervenuta efficacemente salvandolo dallo spavento e dalla piccola umiliazione. Nuno tace, non lascia trasparire alcuna emozione, né di disappunto per il piccolo incidente, né di gioia per la prospettiva di veder saltare i delfini. Perché non li vedrà. Sentirà i gridolini di gioia e di stupore di quelli che avvistano, segnalano, ridono, fotografano puntini lontani con lo smartphone. E ricostruirà la scena nella sua testa, silenziosamente felice per le emozioni della figlia e quelle della moglie che ha sempre un occhio al mare e l’altro all’espressione del marito. Nuno è non vedente per i politicamente corretti, in realtà, irrimediabilmente cieco. Perché non spera più di vedere il mondo fuori, ma è straordinario nel riprodurlo, emozioni comprese, nel suo universo sigillato, che riesce comunque a condividere con le due donne che ama.

Nuno è cieco , ma non rinuncia a niente. Va con la famiglia a vedere quello che non vede, ma che non potrebbe vivere con la stessa intensità sulla sua poltrona triste, aspettando i racconti della famiglia, a cui evita i sensi di colpa accodandosi, respirando l’aria di mare mista a quella di foresta, l’Arràbida, un vanto per il Portogallo. E poi ascoltando i commenti, avvertendo i sorrisi della figlia, sentendo il vento, tiepido quanto basta, fresco quanto basta. Il gommone accelera, lui mette una mano sul cappello, poi lo toglie. Percepisce la musica inutile soffocata dal motore, persino il fatto che il marinaio, simpatico e un po’ esibizionista, balli sulla Disco music tenendosi a una maniglia. All’arrivo, Nuno scende senza intoppi, finalmente gli scappa un garbato sorriso. Intanto, sulla terraferma, i superstiti del Covid, disperati dal vedere bene, dall’udire perfettamente e dal vivere una vita potenzialmente serena, si esibiscono in un’arte che risale all’era delle caverne: cercare pretesti per azzannarsi innamorandosi dell’assurdo, inventato o suggerito da santoni, politici, stregoni e cialtroni. Leggono titoli, ma non gli articoli, guardano le figure, poi sputano sentenze che fanno ridere i virus, sempre più protetti dai cretini autodistruttivi. Ai quali non è chiaro che per capire qualcosa del mondo, il privilegio della vista non serve senza un collegamento con il cervello e la ragione. Mentre Nuno, facendo di necessità virtù, ogni giorno fa chiarezza, con la luce del suo buio.

Aggiornato il 03 agosto 2021 alle ore 10:52