Appello della Fnsi sull’editoria in ginocchio

“Il diritto dei cittadini ad essere informati è sotto attacco”. Inizia così il documento della Federazione nazionale della stampa italiana, pubblicato a pagamento su molte pagine di quotidiani. “I giornalisti – prosegue il documento – vengono quotidianamente intimiditi, minacciati, picchiati per via del loro lavoro. Sono nel mirino di organizzazioni criminali e neofasciste”. Aggiungere l’aggettivo “neofascista” è ormai di moda da parte di qualsiasi movimento o associazione di sinistra, per acquistare visibilità e rafforzare la loro legittimità, di cui non ce ne sarebbe bisogno derivante direttamente dalla Costituzione. Alla manifestazione di Piazza San Giovanni (luogo sacro della triplice sindacale dagli anni Settanta) i cartelli avevano un solo slogan: “Basta ai fascismi”. Quando si parla di diritto ad essere informati la condanna andrebbe allargata ai violenti di ogni colore, alla mafia, ai gruppi che approfittano delle guerre per far fuori i media che raccontano la dura realtà delle stragi e dei genocidi, e per non perdere la memoria agli esponenti delle Brigate rosse.

Negli ultimi dieci anni sono stati uccisi 880 giornalisti ma c’è stato un periodo, quello degli anni di piombo, tra i Settanta e gli Ottanta in cui uno dei bersagli principali per disarticolare il sistema politico con l’attacco al cuore dello Stato erano i giornalisti. Condannare tutte le violenze, quindi, e tutte le articolazioni che attentano alla democrazia e alle libertà costituzionali. Le Br non erano “fantomatiche organizzazioni extraparlamentari” ma gruppi militanti ispirati dal marxismo-leninismo per sovvertire lo Stato democratico.

Il giornalista Sergio Zavoli nell’inchiesta per la Rai sulla Notte della Repubblica ha sostenuto che dal 1974 (anno dei primi omicidi rivendicati) al 1988 le Br hanno rivendicato 86 omicidi, a cui aggiungere i ferimenti, i sequestri di persona, le rapine per finanziare l’organizzazione. L’elenco dei giornalisti vittime delle Br è lungo. Carlo Casalegno, vicedirettore della Stampa di Torino, colpito da un colpo di rivoltella morì dopo 13 giorni di agonia. Furono gambizzati Indro Montanelli allora direttore del Giornale nuovo, Vittorio Bruno direttore del Secolo XIX, Emilio Rossi direttore del Tg1 della Rai, Antonio Garzotto del Gazzettino di Venezia, Franco Piccinelli della Rai di Torino, Nino Ferrero dell’Unità, Walter Tobagi nel maggio 1980 per opera della Brigata XXVIII marzo. Lungo è anche l’elenco dei giornalisti uccisi dalla mafia e quelli morti in varie guerre alla ricerca della verità da raccontare ai lettori.

Questa è la premessa che è peggiorata negli anni. Oggi la Fnsi ritiene che ci sia “una crisi senza precedenti, che mette in ginocchio il settore dell’editoria. L’occupazione è sempre più precaria. Migliaia di giornalisti sono costretti a lavorare senza tutele e con retribuzioni indegne di un paese civile”. La Fnsi ritiene ancora che “governo e Parlamento dimenticano l’articolo 21 della Costituzione. Non vogliono norme per l’equo compenso e per contrastare il precariato”. Nel documento pubblicato a pagamento la Fnsi aggiunge “lasciar affondare l’Istituto di previdenza dei giornalisti significa dare il via allo smantellamento progressivo dell’autonomia e del pluralismo dell’informazione, pilastro di ogni democrazia”. Il messaggio finale della Fnsi è che governo e Parlamento non possono lasciar morire l’informazione. I vertici dei giornalisti lo hanno ribadito anche alcune settimane fa con la riunione straordinaria all’aperto a Piazza Montecitorio.

Aggiornato il 18 ottobre 2021 alle ore 11:47