Le tre falle logiche, morali e giuridiche sulla vaccinazione del Cardinale Eijk

La relazione del Vescovo di Utrecht Willem Jacobus Eijk sul tema dell’obbligo morale della vaccinazione anti-Covid sta facendo molto discutere sia nel mondo cattolico sia nel mondo laico. La tesi di fondo del prelato è che la vaccinazione anti-Covid è moralmente obbligatoria e per questo i cattolici non dovrebbero lasciarsi influenzare dalle correnti di pensiero libertarie secondo cui ci si potrebbe non vaccinare. La relazione del Cardinale, pur condivisibile per certi aspetti del tutto minoritari, pare, tuttavia, incredibilmente afflitta da tre profonde e gravi falle di carattere logico-scientifico, morale e giuridico. Si proceda, dunque, con ordine. Sotto il primo profilo: con la recente scoperta che vi è una profonda diversità nei tempi di protezione tra un vaccino e l’altro, nella specie tra il vaccino Johnson&Johnson la cui durata è di circa due mesi diversamente da quello Pfizer che invece assicurerebbe una protezione di circa sei mesi, le affermazioni del Cardinale sulla certezza scientifica dei vaccini in genere e sulla moralità di restrizioni come il green pass, appaiono quanto mai poco fondate.

Sotto il secondo profilo: ritenere, come il Cardinale ritiene, che essendo trascurabili le reazioni avverse da vaccino, in ragione della loro bassa percentuale, è moralmente doveroso vaccinarsi poiché i benefici sono superiori ai rischi, significa essere affetti da un grave strabismo etico-giuridico. Sul punto occorre qualche breve riflessione. Prima facie sorprende che un Cardinale di Santa Romana Chiesa ritenga che l’irrilevanza statistica delle reazioni avverse, che tuttavia ricomprendono già soltanto in Italia, ben 608 decessi, almeno secondo l’ultimo rapporto dell’Aifa, si possa automaticamente tradurre in una inedita irrilevanza etica e giuridica, come se il diritto all’integrità psico-fisica e alla vita di coloro che hanno riportato reazioni avverse gravi o perfino il decesso in seguito alla vaccinazione anti-Covid non avesse alcuna rilevanza giuridica soltanto in quanto si tratta di un diritto afferente ad una minoranza di cittadini.

Eticamente e soprattutto giuridicamente il principio quantitativo non si può mai tradurre in principio qualitativo e viceversa. Ancora: il Cardinale, pur così attento alla redazione della componente scientifica e statistica della sua lezione in quanto medico, sembra aver, tuttavia, tragicamente trascurato il dato morale, sposando, si spera almeno inconsapevolmente, una visione di matrice radicalmente utilitaristica, secondo cui, in sostanza, il bene dei più può e deve raggiungersi a discapito del bene dei pochi, adottando Sua eminenza un metro etico ben lontano da quello personalista di matrice cattolica che non consente di sacrificare alcuni esseri umani a vantaggio di altri.

Il sacrificio del Dio incarnato non soltanto, infatti, ha disinnescato una volta per tutte la logica sacrificale, come magistralmente illustrato da Renè Girard, ma ha anche ribaltato la logica sacrificale, sia in senso antropologico–sociale, per cui la società non può più pretendere il sacrificio dei più deboli in favore dei più forti, sia in senso etico, per cui dal Cristianesimo in poi soltanto il sacrificio volontario è ritenuto moralmente consentito, come, per esempio, nel caso del martirio. Come può, dunque, ritenersi moralmente accettabile in quanto statisticamente trascurabile che alcune migliaia di persone abbiano subito danni di una certa gravità, se non perfino il decesso, dal vaccino anti-Covid senza collidere radicalmente e frontalmente con l’essenza della morale del messaggio cristiano?

La situazione, del resto, si complica se si considera che né le case farmaceutiche, né l’Unione europea che con esse ha stipulato i contratti di fornitura, né lo Stato o le singole istituzioni hanno deciso di agire secondo i principi più elementari della prudenza giuridica assumendosi la responsabilità delle suddette reazioni avverse, agendo insomma proprio contro quel principio di solidarietà che viene così tanto sbandierato ai quattro venti.

Sotto il terzo profilo: se per tutta la sua relazione il Cardinale Eijk protesta e condanna duramente la deriva individualistica e libertaria che senza dubbio affligge la civiltà occidentale in genere e anche quella cattolica in particolare, per questo ribadendo il dovere morale di vaccinarsi contro la pandemia, alla fine del proprio ragionamento contraddice se stesso in almeno due sensi.

In un primo senso: poiché l’alto prelato olandese salvaguarda in modo espresso l’obiezione di coscienza di quanti non intendono vaccinarsi in virtù della derivazione di alcuni vaccini dalle linee cellulari di feti abortiti negli anni Sessanta, rimettendo al giudizio individuale una questione morale che è già stata risolta – urbi et orbi – dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e riconducendo alla libertà individuale, che in precedenza aveva condannato, la scelta vaccinale in assenza peraltro di obbligo giuridico (che peraltro viene reputato – inspiegabilmente – non percorribile nonostante esistano già i vaccini obbligatori per legge di Stato). In un secondo senso: il Vescovo di Utrecht in un passaggio della sua relazione sulla libertà di coscienza reputa che la libertà del soggetto vada salvaguardata anche in caso di errore del giudizio della sua coscienza, sembra sposare non tanto la causa cattolica della libertà di coscienza, quanto piuttosto – e non senza un certo stupore da parte anche del lettore più cauto delle sue parole – una logica informata da un evidente soggettivismo morale, preludio logico di quel relativismo etico che così tanto è contrastato dalla cultura cattolica e dalla parte iniziale della sua lezione in tema di moralità della vaccinazione anti–Covid. La tutela della coscienza, infatti, non significa in alcun modo riconoscere anche le determinazioni errate della stessa come legittime soltanto perché formatisi all’interno dello Spatium deliberandi della coscienza medesima.

La coscienza, infatti, è davvero se stessa non quando si determina per una qualunque soluzione, anche se errata, ma soltanto quando si determina autonomamente secondo il bene in senso oggettivo, come, del resto, ha insegnato, su tutti e per tutti, Immanuel Kant. In sostanza non si ricerca il bene secondo la verità della coscienza, ma la coscienza ricerca il bene secondo verità, o, se si preferisce, la coscienza non ricerca veramente il bene fino a quando non ricerca il vero bene, così che la coscienza è davvero libera soltanto se e nella misura in cui ricerca il vero bene e non un bene qualunque che così appaia al singolo anche se il singolo è in errore. A ciò si aggiunga che delle due l’una: o la vaccinazione è un obbligo morale, e allora non si può tener conto della libertà di coscienza dell’individuo, soprattutto se errata; oppure si può e si deve tener contro della libertà di coscienza del singolo, anche se in errore, e allora la vaccinazione anti-Covid non costituisce un obbligo morale.

L’inciampo logico-morale del Cardinale è, dunque, troppo evidente e grossolano per essere considerato una affidabile esplicazione etica per le comunità cattoliche in tema di moralità della vaccinazione anti-Covid. La relazione del Cardinale Eijk, in conclusione, sebbene senza dubbio pensata per risolvere alcuni dubbi etici delle comunità cattoliche, appare non soltanto non in grado di dissipare le nebbie, ma perfino causa delle stesse, dimostrando quanto avesse ragione Plutarco, per il quale non è la barba che fa il filosofo, il pensiero del quale può parafrasarsi secondo la formula per cui non è il camicie che fa il bioeticista, così come, in sostanza, non è la porpora che fa il cattolico.

Aggiornato il 02 novembre 2021 alle ore 09:12