Gli errori del crollo Inpgi: undici anni di conti in rosso

mercoledì 3 novembre 2021


È bastato un articolo della Legge di Bilancio, il numero 28, per rivoluzionare in 17 commi la previdenza dei giornalisti, il cui istituto entrerà dal luglio 2022 in un Fondo speciale dell’Inps. Con un assurdo giuridico: resterà invece privatizzato l’Inpgi 2 per gli autonomi, partite Iva in maggioranza non corrette, svolgendo in realtà lavoro giornalistico primario. Come si è arrivati a questa operazione? Cosa vorrà dire pensioni e prestazioni salve in mano pubblica? E che fine farà il patrimonio immobiliare che come in tutte le assicurazioni avrebbe dovuto garantire le prestazioni future? Dopo una lunga battaglia e la chiamata in causa con 3mila firme del presidente della Repubblica Sergio Mattarella il governo è stato costretto a prendere in mano la questione deficit dell’istituto causato in primo luogo dallo sbilancio tra “attivi e pensionati”, passato da 1,5 ad uno (la media ideale è 3-1) e in secondo luogo dal ricorso a 1.145 prepensionamenti chiesti dagli editori e accettati dal sindacato per un ipotetico ricambio generazionale ma mai sostituiti completamente.

Analizzando il percorso dei bilanci degli ultimi anni si ha un quadro di ritardi ed errori compiuti dai vertici dell’Inpgi che si sono succeduti dalla gestione Camporese a quella di Marina Macelloni, la stessa maggioranza che da decenni guida anche la Fnsi con Giuseppe Giulietti. Sono stati undici bilanci consecutivi in perdita e dal primo disavanzo di 1,3 milioni del 2011 si è passati ai 242 milioni in rosso del 2020. Dall’aggravarsi della crisi dell’editoria appariva evidente che la vecchia previdenza dei giornalisti non era più sostenibile. Le aziende continuavano a licenziare, a chiedere ore di cassa integrazione (due giornate al mese in quasi tutti i quotidiani), prepensionamenti come avvenuto al Corriere della Sera e a Repubblica con una perdita di oltre 100 contributi all’anno. La sequenza delle perdite di gestione era davanti agli occhi di tutti: 8 milioni nel 2012, 52 nel 2013, 81 nel 2014, 112 nel 2015, 114 nel 2016,134 nel 2017, 147 nel 2018, 169 nel 2019, 188 nel 2020.

Perdite che avrebbero dovuto indurre gli amministratori di via Nizza a prevedere interventi di riequilibrio. Qualcosa in realtà è stato fatto ma in negativo: la trattenuta obbligatoria per 3 anni sulle pensioni, una goccia nel mare dei debiti. L’altro filone seguito fin dalla presidenza Camporese è stato quello immobiliare. Il patrimonio accumulato per decenni con i contributi previdenziali versati dagli iscritti è diventato lo strumento per coprire le perdite della gestione corrente. Bruciato in pochi anni. Secondo le relazioni sulla gestione del Fondo Amendola, a partire dal 2013 fino al 2019, il valore era di un miliardo e 104,871 milioni. La vendita dei due terzi del patrimonio immobiliare decisa dal Consiglio di amministrazione per coprire i buchi di gestione non è andata a buon fine, anche per la crisi del settore delle costruzioni e per l’affidamento ad una società esterna.

Secondo alcuni analisti ci sono poi altre criticità. Nel 2020 i ricavi della contribuzione Ivs obbligatoria, comprensiva dei riscatti e ricongiunzioni, erano 340, 6 milioni in calo rispetto ai 360, 3 milioni del 2019 mentre la spesa pensionistica era di 545 milioni in aumento dai 355,9 dell’anno precedente. I dipendenti, pur diminuendo di 7 unità, restavano 188, la spesa per gli organi era salita a 1,32 milioni mentre restava fisso il contestato contributo alla Fnsi e sedi regionali di 2.470.294 euro. E come se non bastasse nei prossimi mesi è prevista l’uscita per prepensionamenti di altri 200 giornalisti.


di Sergio Menicucci