Rai, valzer di nomine senza un piano industriale

Il rimescolamento di nomine alla Rai ha portato ad una estesa lottizzazione, maggiore di quella dei tempi passati, con un modesto ridimensionamento dei grillini che erano stati sopravvalutati dal precedente Consiglio di amministrazione con la nomina di Giuseppe Carboni al vertice del Tg1 e di altri giornalisti accasati, all’ultimo minuto, al Movimento 5 stelle di Grillo dopo il successo elettorale del 2019. Due comunque i fatti positivi: la scelta di tre donne ai vertici dell’informazione (Monica Maggioni al Tg1, Simona Sala al Tg3 e Alessandra de Stefano a Rai sport) e il mancato sbarco di esterni come invece sembrava l’orientamento prevalente del nuovo amministratore delegato di viale Mazzini Carlo Fuortes, proveniente dal Teatro di Roma. Le fibrillazioni non sono mancate e le percussioni si sono avvertite al Consiglio di amministrazione tenutosi a Napoli per la ratifica.

È questo è un primo punto di attrito. È il vertice del sindacato interno (Usigrai che ha eletto al congresso di Milano il nuovo presidente) ha denunciare con un documento che “le scelte appaiono rispondere a logiche spartitorie, con un ruolo decisivo del governo per soluzioni che hanno il solo scopo di accontentare tutti i partiti. La notizia di scelte interne non modifica il giudizio su un metodo sbagliato, frutto di una pessima legge che consegna la Rai al totale controllo dei governi di turno”. Giudizio pesantemente negativo al quale si aggiunge l’auspicio che “il Parlamento tiri fuori dai cassetti e discuta finalmente i disegni di legge sulla Rai per liberarla finalmente dal controllo dei partiti e dei governi”. Ipotesi impensabile per il momento politico che ha come principali appuntamenti l’elezione del Presidente della Repubblica e poi nel 2023 del nuovo Parlamento.

Il settimo piano di viale Mazzini da parte sua ribatte che le nomine sono state “improntate alla valorizzazione di professionalità giornalistiche presenti in azienda, dove non si hanno precedenti di una donna designata alla guida del Tg1 e che siano state proposte tre donne a dirigere le rispettive testate giornalistiche”. In realtà, secondo molti osservatori delle cose di Saxa Rubra, si è trattato di un valzer deciso fuori dalla Rai senza un progetto per l’azienda. Il paradosso è che Andrea Vianello sarà il settimo direttore che cambia al Gr e alla Radio. I quasi duemila giornalisti si chiedono qual è il piano di rilancio complessivo del progetto informativo e d’intrattenimento. L’amministratore delegato Fuortes e la presidente Solmi sono stati convocati a San Macuto dalla Commissione parlamentare di vigilanza a spiegare a che punto sta il piano industriale, non portato a termine dal precedente Consiglio di amministrazione che anzi all’ultimo momento aveva intenzione di fare un blitz a favore di una mega struttura a Milano sul modello romano di Saxa Rubra.

Il sindacato dei giornalisti, dopo anni di consociativismo, insiste nella richiesta di “una legge che allontani le sorti del Servizio pubblico da quella dei governi di turno e dei partiti”. Un problema del Parlamento essendo l’azienda di viale Mazzini una società partecipata al 98 per cento del ministero del Tesoro. La tivù pubblica esiste anche in altri paesi europei ma con altre strutture ed altro sistema di pagamento (non certo con il canone nella bolletta Enel come sancito da una legge voluta dall’ex premier Matteo Renzi per combattere l’evasione). A viale Mazzini dovranno fare i conti con gli investimenti a partire dai 150 milioni già stanziati per le partite dei mondiali di calcio in Qatar dell’inverno 2022.

Aggiornato il 19 novembre 2021 alle ore 16:38