L’io e i diritti: il raziocinio prigioniero della retorica

Nei periodi in cui si tenta di fare opposizioni semplicistiche – ma mai semplici – occorre, con una mano sulle coscienze intellettuali, fare chiarezza sull’origine dell’io-soggetto di diritti, di quelli realizzati come di quelli realizzabili, attraverso una ulteriore progressione neopersonologica nonché neocostituzionale dello Stato di diritto.

La tematica dei diritti della persona e della personalità necessita di una trattazione generale e breve che la canalizzi in un’ottica sistemica. Le relazioni gnoseologiche tra il diritto civile e il diritto pubblico, e tra i testi normativi dei diversi rami dell’ordinamento giuridico diventano un punto di partenza e non un semplice punto di arrivo nella riflessione sul diritto di uno Stato personologico.

Per poter discorrere di principi personologici occorre avere un quadro generale del problema della individuazione dell’oggetto, o meglio, del termine subiettivo oggetto di tutela nomo-ordinamentale. Occorre, pertanto, partire dalla presa di coscienza del problema della dimensione ontica dell’io, e della sua fenomenologia, per poi passare al problema della soppesata e idonea dimensione di un dover essere teleologicamente funzionalizzato alla tutela viva – attraverso delle forme di protezione – dell’essere. L’io come io-identità appare un microcosmo fluido in perenne espansione, trans-ontologico, in cui i fattori sociali (anche quelli giuridico-imperativi), ambientali, biologici, tecnologici conformano dialetticamente il prospetto dell’essere.

In una appena nata società di massa occorreva riflettere sul dissolvimento dell’io, nel suo nucleo ontico effettivo, tra le fenomeniche e i neologismi logici di un apparato costitutivamente sovrastrutturalizzato, funzionalizzato a effetti sovrastrutturalizzanti; e ancora, sulla spersonalizzazione dell’individuo, il quale, tra potere centralizzato e oligopoli economici, si amalgamava e si disperdeva nella massa. Questa, purtuttavia, rappresentava un humus in cui si declinavano nuovi paradigmi partecipativi, come i partiti di massa. In una società in cui le forme di produzione erano strutturate tayloristicamente sull’ausilio della tecnologia, poi, forte si faceva la necessità di indagare su alienazione, reificazione e mercificazione.

L’io e il non-io fichtiani, l’io generale rousseauiano, l’homo oeconomicus e l’homo novum poliedrico marxiani, nella società dei social network, vanno ripensati e riposizionati nelle (e attraverso le) dimensioni ultronee del tempo contemporaneo, troppo avvinto a consumistici neo-formalismi di protezione che, come le logiche del benessere inconsistente o meramente efficientistico e deteleologicizzato, strutturano la persistenza semi-evolutiva del mercato. Il mercato, dove effettivamente libero, è molto di più: il mercato libero per tutti – anche e soprattutto per i piccoli soggetti economici – è la nuova dimensione della sociabilità produttiva; è la forza motrice e al contempo la materia prima elettiva per edificare società pluraliste e personologiche. L’identità del benessere personologico degli individui nella soddisfazione dei propri bisogni materiali e culturali, pragmaticamente, si misura anche sul benessere organizzativo dei liberi mercati.

Un’indagine sulla categoria di identità deve partire dall’osservazione ontologica e rifondativamente critica del concetto di essere, individuale e sociale; tale riflessione isolerebbe possibili basi gnoseologiche, falsificabili, in funzione dell’indagine successiva, positivistica, sulla natura di diritto assoluto, alienabile o non alienabile, nonché sulla struttura dei diritti della personalità, e delle loro forme di tutela viva, nei vari formanti istituzionali del sistema nomologico: la persona nella proprietà, nell’azienda, nel mercato, nella contrattualistica; nella retribuzione e nelle deterrenze criminologiche, nella rieducazione e risocializzazione penalistiche; nella Repubblica costituita da Comuni, Province (forse ancora per poco), Città metropolitane e Stato, nelle forme partecipative della volontà legislativa. L’identità diviene essa stessa spazio identitario a più dimensioni, o si riqualifica soltanto attraverso le finzioni giuridiche che le conferiscono peso e convenzionale misura, rilevanza e tutela negli spazi di varia natura, anche cibernetica?

Una indagine sulla fisiologia delle nuove spiagge ontologiche dell’identità personale, complesse ed evanescenti poiché sempre in fieri, da un lato, ma anche formalizzabili nonché gestibili sempre più attraverso gli strumenti di dominio dello spazio cibernetico omologante, dall’altro lato, poi, non può sottrarsi allo scrutinio dinamico del nucleo conoscitivo del problema nel suo versante patologico: le distorsioni tra identità naturale e identità cibernetico-finzionistica; le distorsioni tra identità individuale e identità di gruppo, nelle loro disparate combinazioni. Lo Stato, pubblico Ente territoriale non economico, non preesiste né nomo-assiologicamente né storicamente, e quindi fenomenicamente, all’individuo ed agli insiemi d’individui. L’ennesima evoluzione, auspicabile, mostra la propria schiettezza nella propensione alla dimensione personologica della statualità e, più in generale, della istituzionalità.

Il concetto di persona si distingue da quello di essere umano, si distingue da quello di cittadino, eppure entrambi – soprattutto il primo – li comprende e li qualifica ulteriormente. Nel diritto civile si discorre di persona fisica e di persona giuridica o ente morale nella nominalistica della tradizione. L’articolo 1 del Codice civile sancisce che l’acquisizione della capacità giuridica si realizza al momento fenomenico della nascita. Una volta acquisita, la capacità giuridica non può essere sottratta; nessuno, infatti, può essere privato, per motivi politici (articolo 22 della Costituzione), della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome, elemento giuridico – quest’ultimo – identificativo non soltanto dinanzi alla generalità dei consociati e nei confronti dello Stato per adempiere ad un vago e vetusto concetto di ordine pubblico, sempre comunque utile funzionalmente alla stabilità e alla sicurezza, ma anche e anzitutto elemento giuridico co-predicativo dell’identità personale del soggetto. Anche gli enti morali, condotti e amministrati da persone fisiche aggregate, o anche singolarmente nella sinergia relazionale con gli altri soggetti (si pensi alla cosiddetta società unipersonale di nuovo conio), hanno un diritto al nome e godono di diverse tutele riconosciute alla persona, intesa precipuamente quale essere umano subiettivo. Cogito ergo persona sum verrebbe da proferire in modo sinteticamente solenne, e indicativo.

I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati (quindi condizionati sospensivamente, si potrebbe intendere) all’evento fisico della nascita. E da questo assunto della normativa – quindi convenzionale in senso giuridico e non soltanto logico – può iniziare, in connessione ai principi costituzionali e del diritto sovranazionale, una indagine ontologico-qualificativa, propedeutica alla edificazione di uno statuto giuridico per l’embrione. Quest’ultimo potrebbe esser visto come persona in formazione, o in realtà “soltanto” come individuo, essere umano in formazione progressiva e quindi come persona in potenza, nel suo potenziale attualizzarsi appunto: non come persona in formazione, dato che il formarsi in personam implica l’esserci già in status personae; tranne se la scienza non chiarirà in modo pregnantemente rigoroso – e purtuttavia sempre falsificabile, ovviamente – l’incidenza sull’embrione dei fattori sociali costitutivamente personalizzanti ed esterni alla vita intrauterina, non di alcuni generici fattori bensì degli specifici e complessi fattori sociali che dalla nascita in poi di un individuo inseriscono lo stesso nel collante comunitario che va oltre la piccola formazione sociale della famiglia.

In realtà, e a rigore, lo Stato protegge il nascituro concepito sotto diversi aspetti, insieme e non separatamente rispetto alla maternità, ma da qui a concepire il nascituro concepito ancora embrione come persona passa di mezzo la problematica dei diritti specifici dell’embrione in quanto persona, e della loro azionabilità (il diritto a non nascere se non sani, di matrice pretoria, è stato sconfessato dalla medesima giurisprudenza di legittimità). Il concetto di persona, infatti, non coincide con quello di essere umano, che lo precede a livello logico se non fenomenologico, dato che ai sensi dell’anzidetto articolo 1 del Codice civile la capacità giuridica si acquisisce al momento e attraverso l’evento della nascita. In questa concezione, alquanto tradizionale malgrado laica e neutrale nonché descrittiva, viene ad analogicizzarsi la formula normativa della capacità con quella della persona, entrambe non definite, ma lasciate all’applicazione dei giuristi pratici previa identificazione di tali complessi concetti, immersi nel divenire filosofico-antropologico e sociologico del pensiero corrente. Nel discorrere di persona e di tutela della stessa, poi, occorre menzionare la protezione ordinamentale della dignitas et libertas delle persone nelle interrelazioni sociali che scadono dalla sfera fisiologica a quella patologica.

Lontani dalle aberranti o comunque vetuste distinzioni qualitative tra esseri umani persone ed esseri umani non persone, quindi res, tipiche di età giuridiche di molto risalenti e rientranti nel diritto romano precedente alla tradizione romanistica protrattasi fino al secolo XIX, il Codice penale appresta una tutela alla persona dalle forme di schiavitù nelle quali purtroppo le distorsioni antropiche la relegano per trarre illeciti ed ingiusti profitti, e/o per via di perversioni ingiustificabili della umana mente.

Sul piano delle fonti del diritto della personalità, descritto nei suoi vari frangenti esistenziali dei diritti personalissimi (concezione monista), o comunque, per quel che concerne le piattaforme positivizzate del riconoscimento della sommatoria dei puntuali diritti della persona (principio di frammentarietà della concezione atomistica meno progressista), si ricordi la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. E ancora, la Convenzione europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali del 1950, ratificata dallo Stato italiano con legge numero 848 del 1955; la cosiddetta Carta di Nizza del dicembre del 2000, sui diritti fondamentali dell’Unione europea; il Trattato di Lisbona del 2007, entrato in vigore nel 2009; ma anche e, anzitutto, per il loro portato già da tempo vincolante ai sensi dell’articolo 11 Costituzione, e dopo la legge costituzionale numero 3/2001 l’articolo 117, comma 1, Costituzione, i trattati dell’Unione europea, attualmente Trattato Ue e Trattato sul Funzionamento dell’Ue. Tutte queste Carte sacre del diritto costituiscono una sicura base di garanzia per la persona nelle sue disparate sfere esistenziali e nei suoi bisogni primari fondamentali.

Ma quanti diritti! Ma davvero ci stiamo dirigendo verso questi virtuosismi sì bene conoscibili alla teoretica? La sfiducia nella struttura della democrazia nell’era del clicca-e-via (e del clicca-e-così-sia) ha generato un depauperamento dei luoghi tecnici e volontaristici della democrazia, il partito e il movimento dei cittadini organizzati insieme ai (e nei) partiti. Le soluzioni tecniche propinateci nell’era di una paventata tecnocrazia hanno deluso le ragionevolezze su cui si basa il nostro stare insieme in società. Occorre rivalutare il ruolo delle alleanze. Ma occorre farlo propinando contenuti, irrinunciabili perché richiesti e sentiti effettivamente dai cittadini. Si deve riprendere la storia per mano, e ricostruire una identità entificabile – diversa dalle identità dei trascorsi – che sappia essere una forza progressista, ma che rinunci al sentirsi tale in quanto assiologicamente auto-battezzatasi come tale.

Aggiornato il 08 novembre 2022 alle ore 11:40