Perseguire chi sperpera le risorse destinate alla salvaguardia del territorio

giovedì 18 maggio 2023


Le immagini di questi ultimi giorni che ci arrivano dall’Emilia-Romagna e dalle Marche flagellate da alluvioni drammatiche ci riportano, come sempre accade di fronte a questi eventi, alla cruda realtà. Non quella realtà che da decenni ormai ci viene raccontata per additare il riscaldamento globale come causa di questi fenomeni e per accusare la civiltà umana di comportamenti sconsiderati e disastrosi nei confronti del Pianeta. Possiamo anche accettare una parte di questo racconto, purché non sia considerato un dogma, perché sicuramente ci sono particolari attività umane che esercitano una forte influenza sul clima a iniziare dal forte utilizzo dei combustibili fossili nel settore industriale e dei trasporti, dalla forestazione e addirittura anche dall’allevamento del bestiame. Tuttavia bisogna riconoscere che non sempre il principio di causa ed effetto sia l’esatta correlazione tra questi due fenomeni. Basta ricordare infatti che anche in passato si sono verificate grandi alluvioni. In Italia, per fare un esempio, ricordiamo quella in Piemonte nel 1948, in Polesine nel 1951, in Calabria nel 1953 quando ancora l’inquinamento dovuto agli scarichi delle automobili non esisteva. Egualmente si data l’inizio del fenomeno del riscaldamento globale con l’avvento della rivoluzione industriale, senza tener conto che, secondo gli storici, anche nel Medioevo il clima si mantenne molto caldo per circa 300 anni, dal IX al XIX secolo.

Quindi si deduce che non sempre quello che accade si debba addebitare ai comportamenti umani. Ma, al di là dell’ideologismo di maniera, di fronte a quello che è successo in questi giorni in Emilia-Romagna e nelle Marche dobbiamo imporci una seria riflessione per tentare di capire se in queste vicende esiste quella correlazione di cui parlavamo prima o dobbiamo invece pregare il buon Dio affinché ci preservi da tali fenomeni disastrosi. Se vogliamo ragionare su una visione generale possiamo affermare che noi italiani ed europei, di fronte al problema del riscaldamento globale stiamo facendo il nostro dovere che però non è sufficiente al raggiungimento degli obiettivi imposti a livello mondiale per l’abbattimento delle emissioni di gas serra, in quanto sono Cina, Stati Uniti e India i Paesi più inquinanti al mondo, mentre l’Europa incide per il 15 per cento. In questo contesto mettersi quindi a filosofare su quanto gli italiani e gli europei possano fare, oltre a quello che stanno facendo, in questa direzione mi sembra quanto mai fuorviante.

La nostra riflessione riguarda piuttosto cosa altro si è fatto o si debba fare per mitigare gli effetti estremi delle alluvioni periodiche che investono le nostre popolazioni. Al di là degli eventi del secolo scorso già citati, l’allarme per questi fenomeni atmosferici nel nostro Paese è ormai una consuetudine che dura da decenni.

I rischi collegati a fenomeni idrogeologici vengono da lontano e riguardano la stessa conformazione del territorio che viene amplificata dal fattore umano che ne ha mutato le condizioni naturali. Già nel 2000 il Ministero dell’Ambiente classificò 1.100 comuni italiani a rischio idrogeologico molto elevato cercando di porre rimedio, in qualche modo, alla gestione violenta del territorio devastato da un vasto abusivismo edilizio coperto da vari condoni e da conseguenti adeguamenti avventati dei piani urbanistici. Da allora tutti i governi che si sono succeduti hanno investito enormi risorse finanziarie per attuare politiche di protezione del suolo. Negli anni successivi i comuni ad alta pericolosità idrogeologica sono notevolmente aumentati e, secondo i dati dell’Ispra dello scorso anno, sono passati da 1.100 a circa 7.500 attuali, cioè il 94 per cento di comuni italiani. Un rapporto dell’Anci di qualche anno fa ha evidenziato che in vent’anni le risorse impegnate soltanto per riparare i danni conseguenti alle alluvioni hanno superato i 20 miliardi di euro.

Nel 2011, l’allora ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha stimato in quasi 40 miliardi di euro il costo per la messa in sicurezza del Paese. Nel corso degli anni, rispetto alle risorse investite gli interventi realizzati sono stati pochissimi e, in moltissimi casi, deviati dalla loro vera destinazione ad abbellire i comuni, dal rifacimento delle piazze all’illuminazione pubblica, più che alla tutela del territorio. Quindi qui abbiamo la certezza che la responsabilità dell’uomo relativamente a determinati comportamenti sia molto più seria e circostanziata. Le risorse destinate alla salvaguardia del territorio, nella gran parte dei casi, sono state assegnate alle Regioni e ai Comuni e ultimamente anche a commissari straordinari che hanno potuto lavorare con iter semplificati. Ma il risultato è sempre stato lo stesso: soldi messi a disposizione dal Governo e mai spesi. I vari organismi nazionali ai quali di volta in volta veniva assegnato il compito di intervenire a tutela del territorio italiano dall’Agenzia per la Coesione territoriale, a Italia sicura nata nel 2014 e infine a Proteggi Italia nel 2019 hanno fallito miseramente i loro obiettivi.

Per fare un esempio, Italia sicura aveva a disposizione quasi dieci miliardi e ne ha spesi soltanto tre, Proteggi Italia aveva a disposizione 11 miliardi e ha speso poco meno di un miliardo. Nel Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ci sono 2,5 miliardi destinati alla riduzione del rischio idrogeologico, di questi 800 milioni sono già stati assegnati alle Regioni e i lavori dovranno essere ultimati entro il 2025.

In questo contesto non ci sono più margini per alcuna giustificazione. La responsabilità non è più una questione generica e utopica, è accertata in modo evidente e risiede totalmente nella classe politica che guida le amministrazioni locali e a chi è delegato a operare efficacemente affinché le risorse impegnate non vengano disperse. È per questo motivo che appare ancora più grave la notizia, apparsa qualche giorno fa, secondo la quale la Regione Emilia-Romagna nel 2022 ha restituito al Governo 55 milioni di finanziamenti, non spesi, destinati per la manutenzione e la messa in sicurezza dei fiumi. Il governatore Stefano Bonaccini, al quale ovviamente va tutta la nostra solidarietà per quanto è successo nella sua regione, dovrebbe spiegare ai propri cittadini perché non è riuscito a spendere quei soldi. Noi chiediamo che d’ora in poi a tutte le amministrazioni venga richiesta con chiarezza una puntuale rendicondazione delle spese destinate al dissesto idrogeologico e che siano perseguiti penalmente gli autori di sperperi di risorse destinate alla salvaguardia del territorio e quindi della vita dei cittadini.


di Franco Torchia