Morire di turismo: i rischi della gentrificazione

Il turismo di massa fa bene? In apparenza, questo fenomeno che si può definire come “iperturismo” presenta aspetti positivi a breve e brevissimo termine, ma fortemente negativi e deleteri nel lungo periodo. Sul primo versante si ritrovano i benefici immediati sul Pil, mentre sul secondo si va profilando un male oscuro e profondo di alterazione socio-antropologica che alcune scuole di urbanistica e giornalismo impegnato hanno qualificato e analizzato, introducendo concetti come la gentrificazione e il consumo abnorme di territorio, di bellezze paesaggistiche, artistiche e naturali in rapido degrado. In quest’ultimo caso, le perdite irrecuperabili non avvengono sul piano della crescita economica trainata dal turismo di massa ma sull’interesse intergenerazionale, perché i centri storici e i luoghi di vacanza sempre più cementificati (in assenza di qualunque pianificazione) tendono a perdere per sempre le loro caratteristiche originarie che li rendevano unici al mondo.

Un esempio servirà a chiarire meglio la questione del male oscuro legato all’iperturismo di massa, in cui decine di milioni di presenze annue di turismo non qualificato, sia di italiani che di stranieri, si riversano nelle città d’arte e nei luoghi di vacanza (marine, in particolare) del territorio nazionale italiano. A Santa Maria Novella, collocata nei pressi della Stazione centrale di Firenze, negli anni Settanta si trovavano ancora intatti i bellissimi volti scolpiti in marmo dei bassorilievi delle tombe collocate a livello del piano di calpestio delle navate. Un decennio dopo, questi profili marmorei erano stati quasi completamente erosi dal passaggio di milioni di suole di turisti in visita a Firenze, che li avevano letteralmente grattati via, a causa dei cristalli di quarzo delle polveri ordinarie presenti nel cuoio e nei rivestimenti in gomma dura delle loro scarpe.

Capite bene che quella bellezza originaria è andata perduta per sempre per le generazioni presenti e future. Questo concetto del degrado irreversibile del patrimonio artistico e paesaggistico si estende identicamente all’urbanistica dei maggiori centri storici italiani. L’ultimo intervento di denuncia in merito è del quotidiano francese Le Monde che, nel suo articolo Naples craint de devenir une “deuxième Barcelone” del 17 luglio, analizza la gentrificazione in atto dei Quartieri spagnoli di Napoli, in cui le aspettative di rendita dei proprietari si realizzano attraverso la riconversione di bassi e alloggi superiori in B&B e in una miriade di centri di spaccio di street-food. Dinamica quest’ultima che tende a espellere da quel quartiere storico le popolazioni autoctone di più antico insediamento, stravolgendone così le caratteristiche originali. Un’immagine per così dire “parlante” di questo processo di cambiamento socio-antropologico la rivela una semplice consultazione di Google Maps, quando si ricerca sia uno street-food (punto vendita di panini e bevande da asporto o da consumo sul posto, come di altri generi di alimenti precucinati), sia un alloggio di tipo B&B che è possibile prenotare via Internet.

Sulla mappa, come risultato della ricerca, si materializzano decine di capocchie di spillo color rosa che, in pratica, sono dei banali puntatori di localizzazione. Ed è proprio la loro densità e frequenza a dire oggi in un solo colpo d’occhio quale sia il livello di gentrificazione che sta caratterizzando i Quartieri spagnoli di Napoli. Per stimare e quantificare un fenomeno simile nell’era pre-Internet sarebbe stata necessaria una costosa analisi e ricognizione in situ che sarebbe durata anni.

Certo, nessuno rimpiange l’Âge d’or, che va dalla fondazione dei quartieri nel XVI secolo, fino al Secondo dopoguerra del XX secolo. In cui dominavano la prostituzione, il contrabbando e traffici di ogni genere equamente suddivisi tra la grande e la piccola criminalità organizzata. Quelle sue stradelle a tela di ragno, in cui i muri avevano indelebili e ampie chiazze di sporco e di umidità causate dalla lebbra dell’incuria e del passare del tempo, per cui l’intonaco era un lontano ricordo, oggi appaiono rutilanti, costellate di luci al neon delle insegne che reclamizzano B&B a buon mercato e di affollate pizzerie sulle terrazze, piene di gente e di chiasso. Napoli dà così l’idea di una città sempre più orfana delle sue classi popolari, in via di sterilizzazione che la trasforma in mercanzia, come già accaduto a molte città europee.

I numeri in tal senso aiutano a capire il problema: dai 3,2 milioni di visitatori del 2017, Napoli è passata a 12 milioni nel 2022, convergendo verso una monocultura turistica molto simile a un’economia di rendita di tipo “estrattiva” come quella basata sul petrolio e sulla risorse minerarie. E, come tale, destinata a sconvolgere l’ecosistema sociale a favore della cattedrale planetaria dei consumi effimeri. Come osserva Le Monde, dal punto di vista macro la deindustrializzazione degli Stati europei ha comportato due conseguenze macroeconomiche: la prima, coincide con la sempre più spinta terziarizzazione delle città del Nord, mentre la seconda, conseguenza diretta della prima, condanna le città del Sud al turismo delle piattaforme digitali (si prenota tutto online). I due fenomeni di gentrificazione, apparentemente diversi tra loro, danno lo stesso risultato: le città non hanno più il popolo che le abita. E a Napoli si intravedono oggi chiaramente gli effetti nefasti di una “economia dell’esperienza”, nel senso che al visitatore viene venduto lo spettacolo di un modo di vita, di una cultura locale che però proprio la loro presenza tende sempre più a degradare stereotipandola.

Le 8mila offerte del solo mese di marzo 2023 di alloggi, per affitti brevi o giornalieri da prenotare sulle piattaforme digitali, continuano a concentrarsi in quei quartieri che incontrano maggiori difficoltà economiche e sociali, con il risultato di sottrarre ai residenti sempre più case a buon mercato, a causa del conseguente aumento degli affitti di quelle ancora disponibili. Con la conseguenza di allontanare gli originali ceti meno ambienti dai loro quartieri storici. Se il risultato della “città globale” è di privare della sua anima quella storica, allora varrà la pena di ripensare il tutto, adottando le stesse regole che valgono per le specie in estinzione.

Aggiornato il 01 agosto 2023 alle ore 11:10