Pagina 3 - Opinione del 02-9-2012

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II
POLITICA
II
Perché questo attacco contro
il presidente dellaRepubblica?
di
VALERIO SPIGARELLI*
lla fine del mese di luglio ave-
vamo commentato la vicenda
relativa alle intercettazioni delle
conversazioni del capo dello Stato
chiedendoci retoricamente “Perché
Napolitano?”.
L’interrogativo serviva a dimo-
strare che questa ultima, dirompen-
te, vicenda aveva certamente a che
vedere con la deriva del rispetto del
diritto costituzionale alla inviola-
bilità delle comunicazioni che l’abu-
so dello strumento delle intercetta-
zioni telefoniche ha prodotto e,
forse, ancor di più, con l’utilizzo
improprio ed illegittimo che l’oc-
chiuta circolazione degli esiti ormai
da anni realizza, ma che certo non
si esauriva in quel contesto.
In realtà, ed i fatti degli ultimi
giorni hanno confermato quel giu-
dizio, l’attacco al Presidente della
Repubblica si inserisce in una di-
storsione nei rapporti tra i poteri
dello Stato ed in una evidente pa-
tologia non solo nella esplicazione
dei poteri di indagine e nella utiliz-
zazione dei relativi strumenti di ac-
quisizione delle fonti di prova, ma
anche del principio stesso della ob-
bligatorietà dell’azione penale. In-
somma, la vicenda che coinvolge il
presidente Napolitano non è solo
sintomatica del livello di barbarie
che il nostro sistema giudiziario ha
raggiunto attraverso l’impropria
commistione tra circuiti investiga-
tivi, ambienti giornalistici e smanie
di protagonismo politico di molti
pm, bensì segna il punto di non ri-
torno di un condizionamento riven-
dicato attraverso un controllo non
di legalità ma di presunta eticità
che impropriamente viene ricono-
sciuto in capo a chi ha il potere di
indagare.
Sotto questo ultimo profilo la
pretesa di violare la riservatezza
delle comunicazioni del Capo dello
Stato, chiedendogli il simbolico au-
todafé della rinuncia al conflitto di
attribuzione già proposto e l’assen-
so alla pubblicazione di conversa-
zioni dichiaratamente prive di rile-
vanza nella indagine penale - che
oggi proviene non solo da ambienti
politici intrisi del più rozzo autori-
tarismo giudiziario, come quelli che
fanno capo all’onorevole Di Pietro
ed al comico Grillo, ovvero ad or-
gani di stampa che coltivano una
visione “manettara” della politica
e del vivere civile, ma anche da raf-
finati giuristi ormai votati al giaco-
A
binismo giudiziario - dimostra che
le polemiche ormai ventennali sulla
invasione di campo sono superate
da una concezione dei rapporti ci-
vili che pretende la primazia del po-
tere giudiziario, inteso come leva-
trice della storia, rispetto a qualsiasi
altro potere. Come ha scritto un
autorevole commentatore “ essa si
basa sullo smercio di una concezio-
ne “trasparente” della democrazia
il cui modello, nella migliore delle
ipotesi, è un Grande Fratello con il
telecomando in mano alle Procure,
ma che nella realtà diventa uno
squallido peep-show, perché qui c’è
solo un buco nella parete in cui i
guardoni vedono un particolare e
pensano sia l’insieme”.
Ciò dimostra che il dibattito de-
ve spingersi ben al di là delle pur
legittime contese sui limiti delle in-
tercettazioni, sulle aree di immu-
nità, sul rispetto del segreto inve-
stigativo e la utilizzazione
impropria di atti delle indagini, ma
deve coinvolgere una riflessione sul-
la forma dello stato, sullo statuto
della magistratura, sul principio di
obbligatorietà dell’azione penale,
sul rafforzamento della funzione
giurisdizionale rispetto a quella in-
quirente. A dimostrazione di tale
assunto basterebbe la considerazio-
ne che in questo paese – come do-
cumenta ampiamente il dibattito
che oggi compare sui maggiori quo-
tidiani – si è ormai corrotta l’idea
di una giustizia equidistante tra la
pretesa punitiva ed il diritto del cit-
tadino e ciò comporta un affida-
mento fideistico in tutto ciò che di
parziale proviene dalle Procure del-
la Repubblica, quasi fosse una ve-
rità rivelata; al pari di come si de-
grada qualsivoglia vincolo legale
alla azione investigativa alla stregua
di un impaccio alla azione vivifica-
trice dei controllori ormai non più
della legalità bensì della morale.
Ed allora è necessario che tutti
coloro che in questi giorni sono in-
tervenuti, magari partendo da po-
sizioni fino a ieri assai concilianti
con l’utilizzo politico dell’azione
giudiziaria, non si arrestino alla
pur doverosa professione di soli-
darietà al Presidente della Repub-
blica. In una battaglia in cui la lim-
pida figura di Napolitano non ha
certamente nulla da perdere sul
piano politico o personale e che ha
egli stesso dichiaratamente intra-
preso al fine di delimitare poteri e
guarentigie della carica e non del-
l’uomo, si deve aprire una rifles-
sione sulla costituzione materiale
del paese in tema di giustizia e sul-
la necessità di una riforma di quel-
la formale.
Sotto questo profilo i penalisti
italiani non possono che accogliere
il monito del Capo dello Stato alla
“restaurazione” dello Stato ed al
rigetto di una “equidistanza”, ov-
vero di una scriteriata partigianeria,
che confonde i termini reali della
contesa e sfuma la sua drammatica
importanza, ma intendono farlo il-
luminando anche quegli aspetti che
rischiano di rimanere in ombra.
Si dica allora con chiarezza che
bisogna riformare la Costituzione:
rendendo effettiva la terzietà dei
giudici italiani, che proprio sul tema
della tutela dell’articolo 15 della
Costituzione – così come per il vero
su altri primo tra tutti quello della
libertà personale – si è dimostrata
assai esile se non proprio sottomes-
sa alle richieste dei pm; regolando
il principio di obbligatorietà del-
l’azione penale in maniera tale da
evitarne l’utilizzo strumentale, ir-
responsabile, e spesso partigiano,
che ne vien fatto dalle Procure;
sdoppiando lo strumento di gover-
no autonomo e liberandolo dal
condizionamento delle correnti e
dei gruppi organizzati della magi-
stratura che garantiscono l’impu-
nità disciplinare a comportamenti
ed esposizioni improprie ed ogget-
tivamente volte al condizionamento
degli altri poteri dello stato; garan-
tendo infine la “ventilazione” della
magistratura, inquirente e giudican-
te, con il reclutamento laterale di
avvocati, giuristi, accademici, che
la allinei a quelle delle maggior de-
mocrazie liberali.
Bisogna riformare le leggi ordi-
narie: irrobustendo il controllo giu-
risdizionale sulle intercettazioni del-
le comunicazioni, restituendo loro
il carattere di eccezionalità e tem-
poraneità e regolando in maniera
efficace il regime di pubblicazione
degli atti; prevedendo una verifica
giurisdizionale sui tempi di iscrizio-
ne nel registro notizie di reato; re-
staurando residualità ed ecceziona-
lità alla privazione della libertà
prima del giudizio definitivo, ormai
nuovamente trasformata in arma
di pressione supinamente disposta
dalla giurisdizione a fronte delle ri-
chiesta dell’accusa anche in fun-
zione delle opzioni processuali che
la privazione della libertà dell’in-
dagato comporta.
Questi (alcuni e non tutti) sono
i terreni in contesa, quelli che con-
notano il vero volto del sistema giu-
stizia di un paese moderno a con-
fronto con quello odierno che
rischia di incarnare una sganghe-
rata forma di “democrazia giudi-
ziaria” che è un vero e proprio os-
simoro sul piano della legalità
costituzionale. Su questi temi si de-
ve aprire un dibattito costituente,
senza aver timore di sottolineare
che in una democrazia equilibrata
la sovraesposizione della magistra-
tura, ancor di più se quella inqui-
rente, costituisce un vulnus, non un
valore.
Solo una riflessione aperta su
questi temi può essere il portato vir-
tuoso della attuale situazione a cui
“chi tiene alla democrazia” non
può rimanere sordo magari rifu-
giandosi in una “solidarietà di ma-
niera”, priva di gesti significativi e
dunque vuota, al Capo dello Stato,
che molti protagonisti della politica
e delle istituzioni si sono affrettati
ad esternare. Abbandonando il con-
sueto riflesso corporativo anche la
magistratura deve aprirsi a questa
discussione, deve far maturare quel-
le opinioni critiche che al proprio
interno sempre più numerose com-
prendono che la mutazione del si-
stema sta producendo effetti per-
versi, che alcuni degli apprendisti
stregoni all’opera da qualche lustro
solo ora iniziano a comprendere
nella loro gravità.
* Presidente dell’Unione camere
penali italiane
L’attacco al Giorgio
Napolitano si inserisce
in una distorsione
nei rapporti tra i poteri
dello stato e in una
evidente patologia
non solamente
nell’esplicazione
dei poteri di indagine
e nell’utilizzazione
dei relativi strumenti
di acquisizione
delle fonti di prova,
ma anche del principio
stesso di obbligatorietà
dell’azione penale.
Si tratta di una vicenda,
insomma, non solo
sintomatica del livello
di barbarie che il nostro
sistema giudiziario
ha raggiunto attraverso
l’impropria commistione
tra circuiti investigativi,
ambienti giornalistici
e smanie politiche
di protagonismo
di molti pm,
ma che segna il punto
di non ritorno
di un condizionamento
rivendicato attraverso
un controllo non
di legalità ma di presunta
eticità che, del tutto
impropriamente,
viene riconosciuto
in capo a chi ha il potere
di condurre le indagini
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Beppe GRILLO
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 2 SETTEMBRE 2012
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