di
STEFANO MAGNI
i moltiplicano le manovre so-
spette attorno al programma
nucleare iraniano. E si scatena la
guerra di spie. È di ieri la notizia
della “cattura” di un drone da ri-
cognizione americano da parte del-
la Guardia Rivoluzionaria di Te-
heran. L’apparecchio risulterebbe
essere un piccolo ScanEagle della
marina statunitense, probabilmente
lanciato da una delle navi che in-
crociano nel Golfo Persico. Se con-
fermata, si tratterebbe della secon-
da cattura di droni americani.
Esattamente un anno fa era tocca-
to a un Rq-170 Sentinel, molto più
sofisticato e stealth (invisibile ai
radar), precipitato per un guasto
interno o per un’intercettazione
elettronica del suo sistema di na-
vigazione (secondo la versione ira-
niana). Il 1 novembre scorso,
l’aviazione di Teheran aveva spa-
rato contro un Predator, nel Golfo
Persico, al largo di Bushehr, ma
non era riuscita ad intercettarlo.
Che cos’avranno mai da guar-
dare questi americani? Cose molto
inquietanti: dalla fine di novembre,
infatti, gli iraniani stanno estraendo
carburante dalla centrale nucleare
di Bushehr. Si tratterebbe di “nor-
male manutenzione”, secondo
quanto riferisce Asghar Soltanieh,
inviato iraniano all’Aiea. Ma
l’Agenzia per l’energia atomica e le
S
diplomazie occidentali sono in al-
larme, perché estrarre carburante
da una centrale può voler dire an-
che altro: ricavare plutonio con cui
costruire testate atomiche. Il sospet-
to è forte, soprattutto considerando
che l’ultimo rapporto dell’Aiea,
pubblicato il 16 novembre scorso,
elenca tanti altri aspetti oscuri del
programma iraniano. Non solo re-
gistra le manovre attorno al reat-
tore di Bushehr, ma anche il com-
pletamento dell’impianto di Fordo,
segreto e sotterraneo, tecnicamente
in grado di produrre grandi quan-
titativi di uranio arricchito, altro
materiale fissile utile per la costru-
zione di testate nucleari.
Sul fronte diplomatico, lo scon-
tro è altrettanto incandescente. Per-
ché l’Iran sta facendo fuoco e fiam-
me dopo che è stata rimandata la
conferenza internazionale a Helsin-
ki sul Trattato di Non Proliferazio-
ne. Che si proponeva l’ambizioso
obiettivo di un Medio Oriente privo
di armi di distruzione di massa.
Considerando che l’unico Paese che
potrebbe possedere armi nucleari
(
anche se non le dichiara), attual-
mente, è Israele, la conferenza
avrebbe mirato, prima di tutto, al
disarmo dello Stato ebraico. Gli Usa
hanno fatto pressioni per rinviare
la conferenza e Ban Ki-moon l’ha
sospesa, nonostante le vive proteste
di Teheran. “Casualmente”, il 28
novembre, un gruppo di hacker,
chiamato “Parastoo”, ha rubato da-
ti dai server dell’Aiea, pubblicando
contatti personali di collaboratori
dell’Agenzia e un comunicato po-
litico per spiegare le ragioni del fur-
to informatico: in vista del nuovo
round di colloqui sul nucleare tra
l’Aiea e l’Iran, previsti a Teheran il
mese prossimo, “Parastoo” chiede
che i dirigenti dell’organismo delle
Nazioni Unite cambino destinazio-
ne e vadano in Israele. La Repub-
blica Islamica e gli hacker suoi com-
pagni di strada (sempre che non
siano alle sue dirette dipendenze)
vogliono uno Stato ebraico disar-
mato. E un Iran con l’atomica.
II
ESTERI
II
Programmaatomico iraniano:
si scatena laguerradi spie
Pericoli dalla Siria
Erdogan si prepara
K
Un drone ScanEagle
Al Fatah e Hamas, i“gemelli diversi”in Palestina
l Fatah, organizzazione politica
e paramilitare palestinese, fon-
data da Arafat nel 1959, confluì, nel
1964,
nell’Olp (Organizzazione per
la Liberazione delle Palestina) che
era nata per iniziativa della Lega
Araba, per avere un’unica rappre-
sentanza del popolo palestinese.
In seguito agli accordi di Oslo
(1993)
tra Israele e l’OLP, è stata
costituita l’ANP (Autorità Nazio-
nale Palestinese): un’istituzione po-
litica riconosciuta da Israele per go-
vernare su parte dei territori che
erano stati occupati da Israele nel
1967.
Cioè sulla Striscia di Gaza
(
evacuata pacificamente dagli ebrei
nel 2005, con l’operazione Mano
tesa ai fratelli) e su parte della Ci-
sgiordania (la West Bank).
Fino al 2006 Al Fatah fu la mag-
giore organizzazione palestinese. A
partire dalla fine degli anni novanta
la popolarità di Al Fatah è stata in-
sidiata da Hamas, l’organizzazione
radicale islamica.
Hamas era nata nei campi pro-
fughi palestinesi ad opera dei Fratelli
Musulmani. Da lì si era estesa nei
territori occupati. Questo gruppo
politico-assistenziale, inizialmente,
è stato riconosciuto anche da Israele.
Lo stesso Menachem Begin, infatti,
appena eletto Primo Ministro con
il partito Likud, nel 1977, acconsentì
alla sua regolare registrazione.
Hamas ha guadagnato popo-
larità fra la popolazione palesti-
nese, gestendo numerosi program-
mi sociali.
È stato in questo modo che alle
elezioni parlamentari palestinesi del
A
2006
si è avuta una clamorosa af-
fermazione di Hamas. Con questa
vittoria elettorale, a capo dell’Anp
ormai vi sarebbe stato il leader di
Hamas, Ismail Haniyeh.
Ma la vittoria di Hamas ha de-
stato grande preoccupazione nel
mondo occidentale perché essa era
ritenuta un’organizzazione terrori-
stica dagli Usa, dall’Unione Europea
e da parecchi altri Stati. Hamas, in-
fatti, ormai combatteva l’occupa-
zione israeliana della Palestina, ef-
fettuando anche attentati suicidi
contro gli israeliani che provocava-
no vittime militari e civili.
Di fatto l’organizzazione Al Fa-
tah di Abu Mazen è divenuta l’in-
terlocutore ufficiale dei Paesi occi-
dentali ed unico rappresentante del
popolo palestinese, pur non essendo
espressione della volontà popolare
delle elezioni del 2006.
La distribuzione del voto, però,
era stata molto differente nei vari
territori. Hamas era prevalente nella
striscia di Gaza, mentre Al Fatah era
concentrata in Cisgiordania.
È scoppiata così una violenta lot-
ta per il controllo dei territori dove,
ciascuno dei due partiti, era radicato.
Il conflitto armato ha prodotto oltre
cento morti. Hamas ha preso il con-
trollo della Striscia di Gaza (2007),
governandola
de facto
.
Il mandato di Abu Mazen sareb-
be dovuto scadere nel gennaio 2009,
ma a causa dell’operazione israelia-
na Piombo Fuso, non è stato possi-
bile far svolgere nuove elezioni. Abu
Mazen ha, così, annunciato
un’estensione del suo mandato. Ha-
mas, però, non ha riconosciuta que-
sta decisione. Solo grazie alla me-
diazione egiziana il grave disaccordo
fra i due gruppi palestinesi si è an-
dato attenuando.
Benché nel suo statuto Hamas si
proponga la cancellazione dello Sta-
to di Israele e la sua sostituzione con
uno Stato islamico palestinese, tut-
tavia, nel luglio 2009, il Capo del-
l’Ufficio politico, da Damasco, ha
dichiarato che Hamas avrebbe ac-
cettato una “soluzione del conflitto
arabo-israeliano che includesse uno
Stato palestinese nei confini del
1967”,
che ai rifugiati palestinesi
venisse riconosciuto il diritto al ri-
torno e che Gerusalemme Est fosse
riconosciuta come capitale del nuo-
vo Stato.
Nel novembre 2012, dopo una
settimana di attacchi missilistici re-
ciproci fra Hamas e Israele è stata
stipulata la tregua (21 novembre
2012),
favorita dall’Egitto di Mor-
si.
Israele ha riportato, certo, dei
vantaggi da questo ulteriore scontro.
Ma questa vittoria israeliana si è ri-
velata abbastanza limitata perché
non è riuscita a infliggere danni tali
da impedire di proseguire, in futuro,
lanci missilistici sulle città israeliane.
E, soprattutto, perché la tregua è av-
venuta, per la pressione internazio-
nale e con l’appoggio di numerose
visite di intermediari diplomatici a
Gaza. Il negoziato fra Israele e Gaza
e la presenza diretta ed indiretta di
altre potenze, ha fatto considerare
Hamas, ormai, de facto, da tutti, sul
piano internazionale, come un’entità
staccata dal resto della Palestina.
Ma Hamas non accetta più l’Olp
come rappresentante unico del po-
polo palestinese, né crede nel pro-
cesso di pace avviato dall’Anp.
Il premier di Gaza, Ismail Ha-
niyeh, che non aveva appoggiato
l’iniziativa del presidente palestinese
Abu Mazen di fare riconoscere
dall’Onu, l’Autorità Nazionale Pa-
lestinese (Anp) come Stato osserva-
tore non membro, non si è neanche
complimentato dopo l’importante
risultato. Dal canto suo, il governo
israeliano, non solo ha respinto la
decisione dell’assemblea generale
dell’Onu che ha riconosciuto la Pa-
lestina come stato osservatore non
membro. Ma ha anche annunciato
la confisca di 420 milioni di shekel
(
circa 120 milioni di dollari) dei fon-
di fiscali che ha già raccolto per con-
to dell’Anp: gli stessi media israeliani
affermano che si tratta di una pura
rappresaglia. Inoltre il primo mini-
stro Netanyahu ha ribadito, che
Israele continuerà a costruire a Ge-
rusalemme e in ogni luogo sulla
mappa degli interessi strategici di
Israele”, cominciando subito con 3
mila nuovi alloggi; decisione che ha
provocato la reazione negativa an-
che dell’ex primo ministro ed ex lea-
der del partito di centro, Kadima,
nonché probabile candidato alle ele-
zioni israeliane del 22 gennaio pros-
simo, Ehud Olmert. Intanto Abu
Mazen è tornato da trionfatore a
Ramallah, dopo che l’Onu ha con-
cesso alla Palestina lo status di Stato
osservatore: questo successo ha rin-
verdito la popolarità dell’Olp. Abu
Mazen ha anche sottolineato la ne-
cessità di una riconciliazione con gli
altri gruppi palestinesi perché
l’obiettivo di tutti - ha ribadito - è
quello di far cessare l’occupazione.
Il conflitto arabo-israeliano, co-
minciato all’indomani della procla-
mazione dello Stato d’Israele (14
maggio 1948), continua tra un suc-
cedersi di guerre e di armistizi. La
pace è ancora lontana perché i pro-
blemi di fondo rimangono irrisolti:
da un lato, il rifiuto dei paesi arabi
a riconoscere la realtà dell’esistenza
d’Israele e, dall’altro lato, il rifiuto
d’Israele ad accordare una piena ri-
conoscenza giuridica al popolo pa-
lestinese. Questi problemi non ri-
guardano solo il Medio Oriente, ma
si ripercuotono inevitabilmente su
tutto il bacino del Mediterraneo.
GUIDO FOVI
Gaza si sente un corpo
separato dal resto
della Palestina e rifiuta
l’autorità di AbuMazen
Hamas nacque come
associazione umanitaria
e fu inizialmente
riconosciuta da Israele
l Premier Russo Vladimir Putin
ha fatto una visita lampo in Tur-
chia lunedì scorso per un incontro
con il primo ministro turco Recep
Tayyip Erdogan. Al centro dei col-
loqui la guerra civile in Siria e il
differente sostegno dato dai due
governi. Da una parte la Turchia,
che ospita il Consiglio Nazionale
Siriano che coordina le forze ribelli
che operano in Siria, dall’altra la
Russia che sostiene il presidente
Assad. La visita di Putin arriva in
un contesto di tensione tra i due
Paesi, soprattutto dopo la tentata
intercettazione di Ankara nel mese
di ottobre di un aereo siriano pro-
veniente da Mosca e sospettato di
trasportare armi a Damasco. Ten-
tativo sventato grazie alla comu-
nicazione diplomatica dei Russi
che testimoniava il trasporto di
equipaggiamenti elettronici (radar),
consentito dalle convenzioni inter-
nazionali, e non armamenti sotto
embargo. Nei colloqui avuti, Putin
ha anche fortemente criticato la ri-
chiesta di Ankara di schierare mis-
sili Patriot della Nato, perché volto
ad aumentare il rischio di esten-
sione del conflitto interno siriano,
anche alla Turchia. La Nato, dal
canto suo, ha comunicato che un
eventuale rischiaramento di missili
Patriot in Turchia al confine con
la Siria potrebbe essere realizzato
solo in tempi non rapidi: circa due
mesi. Nel contempo la situazione
I
in Siria continua a deteriorarsi con
scontri armati tra le forze fedeli al
regime e i ribelli che, secondo le
ultime notizie, hanno ricevuto un
nutrito rifornimento di armi leg-
gere e munizionamento provenien-
ti dal Qatar. L’esercito siriano sem-
bra aver ripreso il controllo
dell’accesso all’aeroporto di Da-
masco, mentre l’aviazione continua
a bombardare i sobborghi a Sud
della capitale, dove la presenza di
truppe “ribelli” si fa sempre più
sentire al punto da imporre con le
armi la chiusura di centri commer-
ciali e negozi, per rendere ancora
più difficile alla popolazione civile
la sopravvivenza.
Nella sola giornata di domeni-
ca, secondo l’Osservatorio Siriano
sui Diritti dell’Uomo (Hrso), 180
persone sono state uccise in tutta
la Siria. Dall’inizio del conflitto in-
terno ci sono stati più di 41mila
morti nel paese, in 20 mesi di vio-
lenze, e più di 150mila sfollati.
La situazione in Siria continua,
dunque, a manifestarsi particolar-
mente critica e non si avvertono,
purtroppo, segni di cedimento da
nessuna delle due parti contenden-
ti. La visita di Putin in Turchia è
un ulteriore segnale della comples-
sità della situazione, che potrebbe
coinvolgere altre nazioni limitrofe
e allargarsi sul fronte internazio-
nale in maniera repentina.
FABIO GHIA
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 5 DICEMBRE 2012
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