Page 4 - Opinione del 06-11-2012

II
ESTERI
II
Il Partito Libertario passeggia per Dupont Circle
di
STEFANO MAGNI*
ggi si vota e le incognite si
moltiplicano. Che effetto
avrà avuto l’uragano Sandy? Che
effetto farà l’endorsement dell’ul-
timo giorno, dato ad Obama dal
generale Colin Powell, il generale
che vinse la Guerra del Golfo nel
1991
e che tuttora è un idolo per
molti conservatori? Per chi pen-
seranno di votare gli indipendenti
che sinora non hanno ancora pre-
so una decisione?
E fra questi c’è un’ulteriore in-
cognita, solitamente ignorata dai
media, ma numericamente impo-
nente: il 15-20% di elettori che
non si identifica in nessuno dei
due grandi partiti, perché sono li-
berals per quanto riguarda la li-
bertà personale (come la legaliz-
zazione della droga, il diritto di
aborto, i matrimoni omosessuali),
ma conservatori in economia
(
meno tasse, meno regole, più li-
bertà di mercato).
Sono tutti coloro che vengono
genericamente definiti “libertari”.
Passeggiando per Dupont Circle,
nel centro di Washington, notia-
mo alcuni curiosi cartelli blu-rossi
che invitano a votare Bruce Ma-
jor, «un libertario per il Congres-
so». Il Partito Libertario è la terza
formazione d’America. Oggi si
presenta con il suo candidato alla
presidenza, Gary Johnson, ex go-
vernatore del New Mexico. Ma
non è affatto l’unico (e neppure
il principale, a giudicare dai voti)
ricettacolo dei voti libertari.
O
La prima cosa che viene in
mente, quando pensiamo alla
campagna delle primarie repub-
blicane, è il gran rumore che ha
fatto Ron Paul, con la sua cam-
pagna per una rivoluzione liber-
taria nel Gop prima ancora che
in America. Eppure anche qui si
rischia di fare confusione, perché
molti conservatori e persino pa-
recchi progressisti (attratti dal suo
messaggio non interventista in
politica estera, che tanto ricorda
il pacifismo) avrebbero votato vo-
lentieri per Ron Paul. Mentre altri
libertari erano (già durante le pri-
marie) più orientati a votare per
Romney e una minoranza anche
per Obama. Oggi, tutto questo
patrimonio di voti del 15-20%
dove andrà a finire? L’Opinione
ne ha parlato con Al Canata, del
Competitive Enterprise Institute.
Lo abbiamo incontrato in uno
scenario che più americano di co-
sì non si può: in una caffetteria
di un centro commerciale nella
provincia della Virginia. Tutto at-
torno ci sono ancora tracce di un
rapido passaggio della campagna
di Mitt Romney: bandiere ameri-
cane piazzate attorno a una pom-
pa di benzina, un vecchio pick-
up con i cartelloni Romney/Ryan,
qualche simpatizzante che ci sa-
luta festante, sventolando i vessilli
rossi dei Repubblicani. Questa
scena rurale contrasta violente-
mente con la gigantesca metropo-
li (tutta democratica) di Washin-
gton DC, dove circolano solo le
Toyota Prius con gli adesivi Oba-
ma/Biden. Eppure siamo solo ad
una manciata di km di distanza.
Siamo giusto in una terra di con-
fine.
L’ideale per parlare del voto di
indipendenti e libertari, anch’essi
in un limbo sospeso fra la destra
e la sinistra. «Io penso che molti
dei libertari che avevano optato
per Obama, ora stiano riflettendo
sui risultati dei quattro anni di
amministrazione – ci risponde Al
Canata – Puoi simpatizzare quan-
to vuoi con le sue idee sulla so-
cietà e la libertà personale, ma
queste ultime diventano seconda-
rie quando stai facendo bancarot-
ta. Per questo credo che chi si
identifica con il libertarismo pos-
sa votare soprattutto per Mitt
Romney, oltre che per Gary Joh-
nson». Anche la politica estera,
però, ha diviso molto i libertari
dai conservatori. «I primi sono
chiaramente non interventisti. Co-
loro che votano perché maggior-
mente interessati alla politica
estera, oggi non troverebbero at-
traente Obama, così come Rom-
ney, entrambi molto interventisti.
Quel tipo di voto verrà dunque
interamente assorbito da Gary
Johnson. O dall’astensionismo.
Ma non farà alcuna differenza
nella competizione fra i due can-
didati principali».
E dove sarà mai finito tutto il
movimento di Ron Paul? E’ spa-
rito o sarà ancora determinante
in queste elezioni? «Non credo
che sia sparito. Ed è ormai chiaro
che quell’elettorato non voterà
per Romney. Più probabilmente
il loro voto si distribuirà fra Gary
Johnson e l’astensionismo». Ma
allora sarà possibile assistere alla
sorpresa di una corsa a tre can-
didati? «No, la vedo dura, per
una questione di numeri. E’ stato
possibile assistere ad uno scenario
di tre candidati solo 20 anni fa,
con Ross Perot che sfidava sia
Clinton che Bush. Ma quel feno-
meno era già visibile da mesi, pri-
ma delle elezioni. Oggi penso che
non si ripeterà.
E’ possibile, però, che in alcuni
stati in bilico, i voti di Gary Joh-
nson favoriscano Obama». Si ri-
ferisce soprattutto al Colorado,
dove la competizione fra Obama
e Romney è talmente serrata che
anche la sola presenza di Johnson
e della sua campagna a favore
della legalizzazione delle droghe
leggere, può creare panico e
scompiglio nei partiti maggiori.
Sarebbe incredibile vincere o
perdere le elezioni per qualche
canna libera in più. Eppure è pos-
sibile, in un’America divisa a me-
tà, dove nessun sondaggista si az-
zarda a fare una previsione che è
una sul risultato di domani mat-
tina. E dove si teme che il proces-
so di conta dei voti possa durare
addirittura 10 giorni, specie nel
determinante Ohio. Romney può
comunque sempre sventolare lo
spauracchio del socialismo euro-
peo, se dovesse perdere. «Diven-
teremo come l’Italia» è una pro-
spettiva minacciosa.
«
Beh, nessuno di noi odia il
vostro cibo, la vostra natura o il
vostro patrimonio artistico… – ci
dice ridacchiando Al Canata, che
è di origine italiana (ligure, per la
precisione) – ma è un problema
di debito pubblico, di spesa fuori
controllo e di tasse troppo alte.
L’europeizzazione o italianiz-
zazione dell’America è purtroppo
possibile. L’Obamacare, la par-
ziale socializzazione della sanità,
è un chiaro passo in questa dire-
zione. Sarebbe veramente grave
se anche la nostra società diven-
tasse un insieme di individui che
dipendono dallo Stato».
E chi vincerà? Lo vedremo do-
mani. Se vince Barack Obama, gli
americani inizino a spostare re-
golare l’orologio 6 ore (9 ore, per
i californiani) in avanti…
*
Dal nostro inviato negli Usa
La terza formazione
d’America si presenta
con il suo candidato
alla presidenza
Il 15-20%degli elettori
non si identifica
in nessuno dei due
grandi partiti del paese
Bonamigo, il gurudella comunicazione antiobama
a politica è anche percezione.
Soprattutto quando si è nel
rush finale di una campagna elet-
torale. Oggi è un martedì straordi-
nario negli Stati Uniti. Si deve sce-
gliere il presidente. Ed entrambi i
contendenti, Barack Obama e Mitt
Romney, si dicono assolutamente
certi del loro successo. Creare una
percezione di vittoria è parte del ta-
lento di un politico. Come farlo, pe-
rò, è compito dei “guru” della co-
municazione politica.
L’Opinione
ne ha incontrato uno, Maurice Bo-
namigo. La sua compagnia omoni-
ma, la
Maurice Bonamigo & Asso-
ciates
ha sedi ai quattro angoli degli
Stati Uniti (Palm Beach, Washin-
gton, Chicago e Los Angeles) ed
opera ai quattro angoli della Terra.
I clienti non sono «tutti coloro che
offrono di più». Bonamigo è un
conservatore dichiarato e assiste so-
prattutto coloro che condividono i
suoi valori. Anche se, tiene a preci-
sare, «Il conservatorismo non si li-
mita al Partito Repubblicano. Non
L
tutti i membri del Gop sono con-
servatori e una minoranza dei con-
servatori è nel Partito Democratico.
Basti pensare, per esempio, ai Blue
Dogs (democratici conservatori fi-
scali, ndr) o ai Dixiecrats (demo-
cratici del Sud, ndr), che in molti
casi sono molto più a destra di tanti
politici repubblicani».
A proposito di conservatorismo,
in Italia passa l’immagine che solo
votando Obama e i liberals, l’Ame-
rica possa guardare al futuro. Lei
come sta contrastando questa per-
cezione?
Quel che i media europei vedo-
no e giudicano è basato sulla realtà
europea e non su quella americana.
Non tengono conto di una differen-
za fondamentale. Tutti i paesi del
Vecchio Continente sono delle de-
mocrazie sociali. Gli Stati Uniti, in-
vece, sono una repubblica, nel senso
più antico del termine. In una re-
pubblica crediamo negli individui,
nei loro diritti e nella loro libertà
di iniziativa. In un sistema socialista,
così come nel suo estremo comuni-
sta, tutti devono contribuire al bene
dello stato e sarà poi quest’ultimo
a farsi carico delle necessità dei suoi
cittadini. Negli Stati Uniti non ci
aspettiamo che sia lo stato a curarsi
dei nostri affari, perché già dalla
Costituzione leggiamo che il suo
unico vero compito è la protezione
e la difesa del suo popolo. Tutto il
resto è affidato alla libera iniziativa
degli individui. E spetta ai singoli
stati, che compongono la federazio-
ne, scrivere le loro leggi particolari.
In una democrazia socialista devi
pagare tante tasse e attenderti al-
trettanti benefici. In una repubblica,
quale quella americana, crediamo
che si debbano pagare meno tasse
e che il governo ci lasci liberi di
creare ricchezza. Ogni volta che lo
stato si intromette in un settore
dell’economia, lo rovina e lo rende
anche molto più costoso. Quel che
Obama vuol fare è avvicinare gli
Stati Uniti al modello democratico
sociale europeo. E capisco perché i
media europei lo vedano con sim-
patia e lo ritengano il candidato che
mira ad una società più benestante
ed egualitaria. In realtà, però, quel
modello non è affatto più egualita-
rio, né crea maggior benessere. La
Grecia, a furia di pensioni e pro-
grammi sociali ha finito i soldi.
E l’Italia cosa sta facendo
?
Sta alzando le tasse. La scusa è
quella di recuperare i soldi dell’eva-
sione, ma anche una volta recupe-
rati tutti non basteranno comunque
a pagare tutti i programmi sociali
del vostro stato. Anche tenendo
conto di queste differenze di men-
talità, però, gli intellettuali e i media
maistream sembrerebbero più eu-
ropei degli europei…
L’esperimento di Obama sta già
producendo i suoi frutti ben visibili.
Gli Stati Uniti si stanno rapidamen-
te avvicinando alla depressione.
Quando il dato reale della disoccu-
pazione è al 17% (il 7,9% è il dato
ufficiale, basato sugli iscritti alle liste
di collocamento, il dato reale è, ap-
punto, attorno al 17%) sei molto
vicino a quel 25% che caratterizza
una depressione vera e propria. Tut-
to quello che sta facendo l’ammi-
nistrazione è far circolare più mo-
neta.
Ma così svaluti il dollaro e pro-
vochi il fallimento di tutta l’econo-
mia. I nostri intellettuali vogliono
ispirarsi all’Europa?
E allora guardino a quel che
succede in Grecia. E anche alla Spa-
gna e all’Italia. E’ semplicemente un
sistema che non funziona. E per
questo credo che la maggioranza
degli americani voglia conservare il
nostro attuale sistema repubblicano.
Inoltre: non puoi cambiare il siste-
ma americano, senza modificare ra-
dicalmente tutta la Costituzione.
Un altro motivo di ammirazione
per Barack Obama, in Europa, è la
sua riforma della sanità. Cosa ne
pensa?
Prima di tutto, rendiamoci conto
che gli Usa hanno già una sanità so-
cializzata. Se devi essere curato in
un ospedale e non hai l’assicurazio-
ne, i medici devono comunque fare
di tutto per salvarti. E sono i con-
tribuenti a pagare. Se sei un dipen-
dente pubblico, è sempre l’ammini-
strazione pubblica che ti paga
l’assicurazione sanitaria. Se hai di-
ritto a qualche programma sanita-
rio, saranno sempre i contribuenti
a pagare per la tua sanità.
Cosa cambia con la riforma
dell’Obamacare?
Che se oggi non hai comprato
o non vuoi comprare un’assicura-
zione sanitaria, il governo ti obbli-
gherà ad acquistarne una. Se non
lo fai, dovrai pagare una multa che
si aggira sui 4000 dollari. Si tratta
di un’intrusione del governo nelle
mie scelte personali. E vediamo an-
che al rovescio della medaglia di un
sistema del genere. Oggi sei tu, per-
sonalmente, che decidi quando e
come curarti. Un domani il governo
potrebbe anche dirti: «sei troppo
anziano, non val la pena di spende-
re troppi soldi per la tua operazio-
ne».
Sarà qualcun altro a decidere al po-
sto tuo, anche sulla tua vita. Lei cre-
de che le elezioni saranno una scelta
di sistema?
Sì, assolutamente. Una scelta fra
un sistema in cui sei tu a scegliere
liberamente per te stesso ed uno in
cui è il governo che prende le deci-
sioni al posto tuo.
ste. ma.
K
ROMNEY e OBAMA
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 6 NOVEMBRE 2012
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