II
CULTURA
II
Perché inmolti credono
nell’utopia del socialismo?
di
LEW ROCKWELL
ersino al giorno d’oggi le per-
sone non pensano ad altro che
professare la loro devozione verso
l’ideologia socialista ai cocktail
party, ai ristoranti che servono ci-
bo in abbondanza, e gironzolando
nei più sofisticati appartamenti e
case di cui l’umanità abbia mai
goduto. Si, è ancora di moda es-
sere un socialista, e – in alcuni cir-
coli d’arte e accademici – social-
mente
richiesto.
Nessuno
indietreggerà. Qualcuno si congra-
tulerà apertamente con voi per il
vostro idealismo. Allo stesso modo
potete sempre contare di strappare
consensi dichiarando i peccati di
Walmart e Microsoft.
Non è straordinario? Il socia-
lismo (la sua versione nella vita
reale) è collassato quasi 20 anni
fa – brutali regimi fondati sui prin-
cipi del marxismo, rovesciati dalla
volontà della gente. Seguendo
quell’evento abbiamo visto queste
società decrepite tornare alla vita
e diventare una risorsa aggiunta
per la prosperità del mondo. Il
commercio si è espanso. La rivo-
luzione tecnologica sta raggiun-
gendo miracoli di giorno in giorno
sotto i nostri occhi. Milioni di per-
sone stanno di gran lunga meglio
in misura continuamente crescen-
te. Il credito è interamente dovuto
al libero mercato, che possiede un
potere creativo che è stato sotto-
valutato persino dai suoi più ap-
passionati sostenitori. Inoltre non
sarebbe stato necessario un collas-
so del socialismo per dimostrare
ciò. Il socialismo ha fallito sin dai
tempi antichi. E dal libro di Mises,
Socialismo(1922), abbiamo capito
che il motivo preciso è dovuto al-
l’impossibilità economica del-
l’emergere di un ordine sociale in
assenza della proprietà privata dei
mezzi di produzione. Nessuno lo
ha mai confutato.
E ancora, persino adesso, dopo
tutto, i professori in piedi davanti
ai loro studenti denunciano i mali
del capitalismo. Best sellers fanno
dell’anticapitalismo il loro fulcro.
I politici ostentano le migliorie
gloriose che il governo farà quan-
do sono in carica. E ogni male del
giorno, persino quelli causati di-
rettamente dal governo (ritardi ae-
rei, la crisi immobiliare, l’infinita
crisi del settore scolastico, la man-
canza di assistenza sanitaria per
tutti) vengono imputati all’econo-
P
vasiva del mondo ed è necessario
un sistema che allochi razional-
mente le risorse scarse verso fini
socialmente ottimi. C’è un solo si-
stema in grado di farlo e non è la
pianificazione centrale ma il siste-
ma dei prezzi di libero mercato. Il
governo distorce questo sistema
in miriadi di modi. I sussidi man-
dano in corto circuito i giudizi di
mercato. I divieti di alcuni prodot-
ti causano l’ascesa di beni e servizi
meno richiesti rispetto ai primi.
Altre regolazioni rallentano le ruo-
te del commercio, ostacolano i so-
gni degli imprenditori e vanificano
i piani dei consumatori e degli in-
vestitori. Poi c’è la più ingannevole
forma di manipolazione dei prezzi:
la gestione della moneta da parte
della Federal Reserve.
Più grande è il governo più i
nostri standard di vita vengono ri-
dotti. Siamo fortunati come civiltà
poiché il progresso della libera im-
presa generalmente sopravanza il
regresso per via della crescita go-
vernativa, perché se così non fosse,
saremmo più poveri ogni anno –
non solo in termini relativi ma an-
che assoluti. Il mercato è intelli-
gente e il governo è stupido, e a
queste caratteristiche dobbiamo il
nostro benessere economico. La
seconda parte del nostro compito
educativo – immaginare come un
mondo regolato dal mercato fun-
zionerebbe – è molto più difficile.
Murray Rothbard una volta ha
sottolineato che se il governo fosse
l’unico produttore di scarpe molte
persone non sarebbero in grado
di immaginare come il mercato
potrebbe produrle. Come potrebbe
il mercato fornire tutte le taglie?
Non sarebbe uno spreco produrre
stili diversi per ogni gusto? E cosa
succederebbe ai produttori di scar-
pe di scarsa qualità? E le scarpe
sono troppo importanti per lascia-
re alle vicissitudini dell’anarchia
del mercato.
Lo stesso avviene oggi riguardo
molti argomenti, come l’assistenza
sanitaria. La prima obiezione ri-
guardo l’idea di una società di
mercato è che il povero soffrirà e
non avrà nessuno che si prenda
cura di lui. Una risposta è che la
carità privata potrebbe occupar-
sene, e tuttavia ci guardiamo at-
torno e vediamo che gli enti di be-
neficenza privati hanno compiti
relativamente piccoli. Il settore
semplicemente non è abbastanza
grande per sostituire il governo
dove non è presente. Qui serve
l’immaginazione. Il problema è
che i servizi del governo hanno
escluso quelli privati e ridotti i ser-
vizi del settore privato al di sotto
delle loro dimensioni nel libero
mercato. Prima dell’età dell’assi-
stenza statale, gli enti di benefi-
cenza nel XIX secolo erano una
vasta operazione paragonabile in
dimensioni alle più grandi indu-
strie. Essi si espandevano a secon-
da del bisogno. Venivano princi-
palmente forniti dalle chiese
attraverso le donazioni, e l’etica
era la seguente: ciascuno forniva
una porzione del budget familiare
al settore della beneficenza. Una
suora come MotherCabrinigestiva
un impero della beneficenza.
Ma nell’era del progressimo,
l’ideologia è cambiata. La bene-
ficenza è diventata un bene pub-
blico, qualcosa che doveva essere
professionalizzata. Lo stato ha
cominciato ad invadere un terri-
torio un tempo riservato a un set-
tore privato. E come lo stato so-
ciale è cresciuto nel corso del XX
secolo, la dimensione comparati-
va del settore privato si è ridotta.
Per quanto siamo in una brutta
situazione negli Stati Uniti, non
è nulla se comparato all’Europa,
il continente che ha dato i natali
ai servizi di beneficenza. Oggi,
pochi europei donano un cente-
simo in beneficenza, perché tutti
sono convinti si tratti di un ser-
vizio pubblico. Inoltre, dopo im-
poste e prezzi elevati, non rimane
molto da donare.
Lo stesso avviene in ogni area
monopolizzata dal governo. Fino
a quando FedEx e UPS non sono
arrivati a sfruttare una lacuna nel-
la legge, le persone non erano in
grado di immaginare come il set-
tore privato potesse consegnare la
posta. Ci sono molti altri angoli
ciechi simili nel campo della giu-
stizia, della sicurezza, della scuola,
dell’assistenza medica, della poli-
tica monetaria e dei servizi di co-
nio. Le persone sono sbalordite al
suggerimento che il mercato debba
fornire tutto ciò, ma solo perché
richiede esperimenti mentali e un
po’ di immaginazione per conce-
pire come sia possibile.
Una volta che si comprende
l’economia, la realtà che ciascuno
vede prende un nuovo significato.
Walmart non è un paria ma una
gloriosa conquista della civilizza-
zione, un istituzione che ha final-
mente messo a riposo una grande
paura che ha pervaso la storia del-
l’umanità: la paura che il cibo fi-
nisse. Infatti, persino i più piccoli
prodotti abbagliano la mente una
volta che si comprende l’incredi-
bile complessità del processo pro-
duttivo e di come il mercato possa
riuscire a coordinarlo attraverso
il fine del miglioramento umano.
Le conquiste del mercato appaio-
no improvvisamente in netto rilie-
vo attorno a tutti voi.
E in seguito si comincia a ve-
dere l’invisibile: quanto più sicuri
saremmo con una sicurezza priva-
ta, quanto più giusta sarebbe la
società se la giustizia fosse priva-
tizzata, quanto più compassione-
voli saremmo se il cuore umano
fosse allenato da esperienze priva-
te piuttosto che da burocrazie go-
vernative. E cosa fa la differenza?
I socialisti e i difensori del libero
mercato osservano gli stessi fatti.
Ma la persona con una conoscen-
za economica comprende il loro
significato e le implicazioni. É quel
po’ di educazione che fa la diffe-
renza. I fatti saranno sempre con
noi. La saggezza, comunque, deve
essere insegnata. Raggiungere una
comprensione culturalmente am-
pia della libertà e delle sue impli-
cazioni non è mai stato così im-
portante.
Traduzione di Nicolò Signorini
dal Ludwig von Mises Italia
mia di mercato. Ad esempio, l’am-
ministrazione Bush ha nazionaliz-
zato la sicurezza aerea dopo l’11
settembre e nessuno ha mai messo
in discussione se fosse necessario.
Il risultato è stato un divertente
disastro visibile ad ogni viaggia-
tore, con ritardi che si accumulano
su ritardi e le umiliazioni che di-
ventano parte dell’agenda del viag-
gio aereo. E chi si prende la colpa?
Leggete le lettere all’editore. Leg-
gete le montagne di articoli scritti
da giornalisti che parlano del pro-
blema. La colpa è addossata alle
compagnie private. La soluzione
di conseguenza è più regolamenti,
più nazionalizzazioni. Come pos-
siamo spiegare questa parata spa-
ventosa? Ci sono due fattori prin-
cipali. Il primo è il fallimento della
gente nel comprendere l’economia
e le sue spiegazioni di cause ed ef-
fetti nella società. Il secondo è l’as-
senza di immaginazione che tale
ignoranza rinforza. Se non sapete
cosa causi cosa nella società, risul-
ta impossibile comprendere intel-
lettualmente le soluzioni adatte o
immaginare come il mondo fun-
zionerebbe in assenza dello stato.
Il divario educativo può essere
superato. Pensare in termini eco-
nomici significa realizzare che la
ricchezza non è un dato di fatto o
un incidente della storia. Non è
concessa a noi come la pioggia
dall’alto. É il prodotto della crea-
tività umana in un ambiente libe-
ro. La libertà di possedere, di fare
contratti, di risparmiare, di inve-
stire, di associarsi e di commercia-
re: queste sono le chiavi della pro-
sperità. Senza di loro dove
saremmo? In uno stato di natura,
che significa una popolazione dra-
sticamente ridotta che si nasconde
in caverne vivendo di ciò che è in
grado di cacciare. Questo è il
mondo in cui ci siamo trovati noi
uomini fino a che non abbiamo
cambiato la situazione ed è il
mondo in cui possiamo tornare se
qualsiasi governo riuscirà mai a
portar via completamente la liber-
tà e i diritti di proprietà privata.
Questo sembra un punto sem-
plice ma spesso viene trascurato
da vaste aree di pubblico anche
colto. Il problema si riduce ad
un’incapacità nel comprendere che
la scarsità è una caratteristica per-
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 26 GENNAIO 2013
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