Sergio Cammariere: questo è il titolo dell'ultimo album dell'artista crotonese. Come se si ripresentasse nuovamente al suo pubblico. Copertina da mani in tasca e aria da poeta di altri tempi. Perché in giro di poeti se ne trovano pochi e di artisti che riescono a sollevare il pianoforte con un dito (tanta è la bellezza e la grazia con cui viene suonato questo strumento), se ne trovano ancora meno. Ci dispiace dirlo per gli altri, ma quando Cammariere salì sul palco del Festival di Sanremo l'aria intorno era sprecata per lui ed il pianoforte, che un'anima possiede, avrebbe voluto avere rotelle per camminare e scappare via.

Cammariere viene da Crotone, splendida città del Sud, perla e madre del Mare Ionio. E se sei abituato al mare, perché il mare è malattia fatta abitudine, non puoi farne più a meno e lo riporti con te in tutto ciò che fai. E ascoltando l'album, un po' a testa bassa, con la riverenza dovuta alla bellezza pura,  non vengono alla mente atmosfere jazz e fumose. Quella di Cammariere è aria pulita, vento caldo e tramonti fatti di volti che racchiudono sguardi d'amore - «Hai gli occhi degli occhi dell'alba che viene per noi (Controluce).

Poi ascoltando brani come Ogni cosa di me Controluce o Il Principe Amleto si ha la sensazione che la musica, le parole, e quella sua voce che si muove contraria a tutto ciò che va di fretta, riescano ad entrare in una bottiglia di vetro dove per un istante si riesce a catturare il tempo («Fermo il tempo per noi e tu non ci credi»). Piena solarità e tempi "agitati", invece, per il brano Transamericana che riporta al samba e alle atmosfere latine, di tempo passato alla ricerca del cuore felice perduto e della notte, che è donna e che ridona speranza e preghiera. Proprio come nel brano La mia felicità, che racconta di un amore che non chiede altro che un "sì", poi il resto, quello che è futuro verrà da sé. L'importante è solo iniziare e lasciarsi alle spalle le difficoltà. Per poi rendere omaggio ad un altro grande della scena brasiliana - il del poeta, cantante e drammaturgo Vinicius De Moraes - nel brano Come è che ti va. Quasi fuori dall'album è il brano strumentale Thomas, composto per pochi o solo per il piacere di essere suonato. 

La dinamica del sogno è presente in ogni melodia che Cammariere ha composto. E questo vale anche per i suoi album passati. Non perché sia un modo di sfuggire dalla realtà ma perché - come in un film dai tratti felliniani - tutto ciò che la realtà ti impedisce, in un qualche modo il tuo corpo e la tua anima devono riviverlo nel sogno. Il sogno, insomma, come un prolungamento della propria speranza. È quasi impossibile ascoltare l'album in mezzo al traffico o all'isteria generale che ci circonda. L'arte di Cammariere è fatta di calma, di stati d'animo con le mani in tasca, di piccoli sussurri del vento. Di mari agitati e di calma apparente. Come guardare un orizzonte immutabile a Capocolonna, vicino Crotone, dove la storia domina i tempi e dove una colonna, appunto, riesce ancora a tenere in piedi quella dignità che appartiene a popoli perduti ma non dimenticati.

A differenza di suo cugino Rino Gaetano (ricordato dai giornali solo per il ventennale e poi nuovamente "abbandonato"), Cammariere non esprime rabbia e voglia di "prendere in giro". La sua musica è un guardare il mare con l'occhio implacabile di chi si ferma e passeggia, mentre la sua voce "schiumosa" sbatte sul piano come l'acqua che si infrange sulla spiaggia e torna indietro. È una musica, quella dell'artista calabrese, senza smania di vittoria. Alla fine tutti raggiungono il traguardo e forse, almeno nell'arte, non è importante arrivare prima degli altri. Tanta cura e armonia invadono anche le "pagine" dell'album. Foto in bianco in nero di un Cammariere sempre uguale, un po' con l'aria da moschettiere del Re (ma senza spade). Lui ha solo il pianoforte e quel cappello in testa che lo fa tanto "monsieur" di altri tempi. Come la dedica finale a Pepi Morgia (regista e scenografo che ha curato tournèe di grandi della musica come Ornella Vanoni,  Paolo Conte, Ivano Fossati, Patty Pravo, Mireille Mathieu, Elton John, David Bowie, Roxy Music e Genesis).

La musica di Cammariere non è malinconia. Piuttosto nostalgica di qualcosa che non c'è, che non c'è ancora mai stato. Ma non è semplice da ascoltare: devi catturare il tempo, il tuo tempo, o rinunciare. Come in amore, passato lo sguardo passa il ricordo. Finito il ricordo non rimane che il nulla. Tutto rimane invece rimane quando si ascolta l'ultimo brano, Essaouira, tutto musicale, che porta alla mente costruzioni bianche che si gettano nel mare, gente che cammina per i mercati affollati, colori, luci e storie che il mondo "civilizzato" tenta di cancellare. Ma questo brano non chiude l'album, anzi lo apre verso nuovi orizzonti.

Chi nasce al Sud è abituato a spalancare le finestre, ad affacciarsi e a varcare confini. Questo Sergio Cammariere esce con le mani in tasca dopo una tempesta, per rappresentare la quiete. E  ascoltandolo viene in mente l'astrazione di Wassily Kandinsky, che invidiava alla musica l'indipendenza e la libertà del mezzo espressivo, per lui «arte resa libera da ogni vincolo di resa dalla realtà». Cammariere è uno dei pochi a far musica, uno dei pochi ancora ad essere libero nelle sue epressioni. Uno dei pochi artisti, insomma, per cui vale ancora la pena comprare un album.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:34