Quelle zuffe in salsa futurista

Inizio d’estate, Caffè Giubbe Rosse, Firenze, 30 giugno 1911, presentandosi forte del suo metro e mezzo di statura, il pittore futurista Umberto Boccioni chiese: «Lei è Ardengo Soffici?» ed alla risposta positiva, di contrapasso: «Ed io sono Boccioni» e giù uno schiaffone tale da buttare a terra l’alto e robusto critico e letterato fiorentino de La Voce. 

13 luglio 2012, la storia quasi si ripete. San Pellegrino, Viterbo, il tarchiato Gianluca Iannone, fondatore di CasaPound Italia, affronta l’alto Filippo Rossi, direttore de Il Futurista, e gli fa un occhio nero. Iannone e Rossi non saranno Soffici e Boccioni, diciamo, per carità di patria, non appartenendo all’alveo artistico dei secondi. Le due zuffe si assomigliano però per quel fenomeno che fa le forme in natura ripetersi variando le dimensioni. La Grande Zuffa intestina del lontano giugno manifestava le solite tendenze litigiose di tutti i movimenti culturali, come politici, italiani. Marinetti, Boccioni, Russolo, Palazzeschi e Carrà, nucleo del futurismo che si stava imponendo in tutti i settori culturali, erano scesi a Firenze per vendicare gli sfottò loro rivolti da Soffici su La Voce di Prezzolini; che le presero entrambi. Lo scontro tra futuristi e vociani si concluse con la consapevolezza di essere un unico movimento, tanto che sede ufficiale futurista divenne proprio il vociano Caffè Giubbe Rosse che si impose sul Savini meneghino. 

Anche allora le italiche politica e arte non potevano fare a meno delle loro vie Veneto. I due gruppi non avevano dubbi che bisognava voltare le spalle al finale disastroso di fine Ottocento dell’Italietta di Adua e Bava Beccaris. «Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie, il moralismo... la sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e di antiquari...». 

Ieri come oggi formalismo, azzeccagarbuglismo, trasformismo si fondevano nell’insincerità e nella demagogia, apposta per non risolvere nessun problema. Se sapessero di essere rappresentate oggi da Fini e Travaglio, Futurismo e Voce, ritornerebbero subito agli schiaffi. Quelle aree sostennero bellamente il fascismo, malgrado l’artificiale negazione frapposta per decenni tra i salti mortali sui manuali. Il bello è che fino al primo conflitto su queste posizioni stavano anche i socialisti. Il welfare ancora non c’era, ma banche e burocrazie sì. 

La Piccola Zuffa dei giorni nostri attiene a giovani, rimasti attaccati per decenni alle storie, ai simboli, ai miti dei primo qurantennio del secolo scorso. Una nostalgia da occhiali appannati che non vedeva quanto poi anche l’Italia fascista, senza essere l’Inferno in terra, assomigliasse all’Italietta di sempre. Casa Pound è stata a lungo il simbolo – oggi normalizzato nella legalità - delle occupazioni popolari patriottiche romane di destra. Lungo le sue scale c’è una lunga teoria di cinemanifesti, foto, poster politici, volantini d’epoca che fanno ritornare indietro nella storia. Imagoteca di un tempo fermato per i molti giovani che su quelle scale, rischiano di scambiare semplici foto con icone venerabili. Malgrado i contrasti con la sinistra, Casa Pound è soprattutto opposizione alla società popolarborghese, a tutti i moderati di sinistra e di destra, al punto che fu sua la campagna più dura contro il Bondi dei beni culturali. Una campagna dove al ministro sono stati imputati difetti, caricaturati come fanno i peggiori slogan razzisti antitaliani belga, svizzeri ed Usa. Così il  contrasto gli italietti ha dato ragione a chi nel mondo ci dileggia. Rossi, che dire, dirige il Futurista; è stato con Campi la mente del finiano Fli (finchè Ventura e Della Vedova non hanno fatto loro le scarpe), la cui migliore caratteristica è il logo che, ripropone carino, dolce e gabbano il fascio littorio. Sia Iannone che Rossi, per dato generazionale, non hanno visto il lato duro dell’inevitabile ghettizzazione riservata ai fascisti; sono cresciuti pensando al passato; non hanno capito lo sforzo compiuto da Craxi e Berlusconi per recuperare alla democrazia il quarto popolo politico italiano; e si sono radicalizzati da antiberlusconiani, in un moralismo condannato da futuristi e vociani. L’odio scatenatosi tra i due si spiega con le diverse vie prese dai due antiberlusconismi: una estremistica d’opposizione al sistema, l’altra centrista e di bigio liberalismo simile a quello di risulta di tanti ex di altri campi. Se amici di NoTav, Cub, Cobas e Fiom interrompono manifestazioni, salgono sui palchi e magari mollano uno schiaffone a chi ci trovano, per il giornalismo moderato, esprimono una voce democratica. Se lo fa Iannone, diciamo, tra amici, si richiamano, senza tema del ridicolo, le squadraccie. Per il post Msi e antefuturista Rossi, con suo dispiacere, si è alzata una canea alla Saviano che con le destre non vuole discutere, quanto farsi dar ragione. Da maggio, d’altronde, Rossi ha ammesso con lucidità sul suo quotidiano: «Fli, game over. Dichiariamo fallimento»; seguito poi per altre vie anche da Libertiamo. Le peripezie finiane, pur minando la maggioranza d’Arcore, hanno prodotto confusioni esistenziali, tra “Cos’è la destra” fino al pensato ritorno all’Msi di Veneziani. Solo la polemica de Il Giornale che continua imperterrito e marrano ad uccidere un partito morto, mantiene paradossalmente nella memoria il suo leader. La cronaca ricorda che 30 giugno e 13 luglio finirono allo stesso modo tra sputi, fischi e insulti. In questura. Nessuno nel 1911 se ne fece scudo; così doveva essere anche nel 2012. La storia parla però di una revenge. I vociani, non foss’altro che per difendere l’onore, come disse il mite Prezzolini, si rifecero alla Stazione S.Maria Novella con morsi e bastonate sui futuristi. Ora tocca al Fli almeno un gesto dimostrativo, magari l’ultimo. Non si parli di rischi per la democrazia: un tempo anche i Nenni incrociavano in duello la sciabola, come nel ’26 con il vociano Suckert Malaparte. In alternativa Rossi potrebbe chiamare Della Vedova sotto Casa Pound per un flash mob di pernacchie.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:33