Oggi la nuova America è Berlino

Berlino. La nuova America, sta a due ore e venti minuti di volo da Roma. Una città poco tedesca, la chiamano “la Napoli della Germania”, tutta a misura di culture creative e alternative. Da quasi cinque anni una sorta di esilio per migliaia di italiani oppressi dalla politica dei profittatori e dalla cafonaggine degli arrivisti. Nonché da tasse e burocrazia in cambio di niente. Così alla fine di questo documentario da 55 minuti, Ciao Italia! Storie di Italiani a Berlino, i sentimenti dello spettatore si accavallano: rabbia, malinconia e molta ilarità. Come quando senti l’impiegato napoletano, che si è trovato così bene con i propri tre figli e con la moglie nella città dell’omonimo festival cinematografico che inizierà il prossimo 7 febbraio, che racconta all’intervistatore di “minacciare” i ragazzini, quando fanno i capricci, di “riportarli a Napoli”. 

Spaventandoli molto di più che evocando l’uomo nero. Il film di Barbara Bernardi e Fausto Caviglia è semplice quanto diretto ed efficace: vengono intervistati una serie di personaggi stabilitisi a Berlino da uno o più anni. Ci sono i poveri, il ceto medio e quello medio alto. Tutti scontenti di un paese che dalla fine della prima repubblica in poi ha dato il peggio di sé. Non che prima avesse dato il meglio, intendiamoci. Ci sono i delusi di Bassolino e di De Magistris e quelli di Berlusconi, quelli di Bersani e quelli del governo tecnico. Tutti cercano meritocrazia, non essere giudicati dal vestito che portano ma da quel che sanno fare. 

Scontenti della apparenza e della esasperazione della civiltà, o meglio dell’inciviltà, para televisiva. Dalla nevrosi dell’immagine e da quella del Suv nel centro storico. Tutti alla ricerca di un’ecologia mentale ma anche esistenziale che a Berlino si trova, insieme a prezzi che sono mediamente la metà di quelli delle grandi metropoli italiane: Milano, Roma, Firenze o Napoli. A Berlino le scuole e gli asili nido ci sono e non fanno schifo. A Berlino non serve la raccomandazione pure per il posteggio, a Berlino i pedoni e le biciclette non rischiano la pelle e via così. Inoltre a Berlino i progetti, anche degli italiani, vengono aiutati e finanziati dalle banche senza le spintarelle. Ciascuno si può costruire la propria nicchia e i nostri compatrioti sono più amati che in Italia. E la nostalgia del Bel Paese? “Meglio tornarci da turisti”, è la nota malinconica che senti pronunziare da questa brava gente emigrata per disperazione. Non si tratta dei poveri che ammassavano i transatlantici che li portavano a inizio Novecento a New York, dove inevitabilmente finivano preda della mafia o della “mano nera”. Sono quasi tutti borghesi che non avendo trovato sbocchi di carriera ed economici alle rispettive aspirazioni hanno mollato l’Italia appena il carattere apparentemente irreversibile dell’attuale crisi economica si è fatto chiaro alle loro menti.

Gente che, come tutti noi, non ce la fa più ad andare avanti legislatura dopo legislatura sentendo i politici e la classe dirigente ripetere sempre le solite promesse a vanvera e i soliti slogan ipocriti e demagogici. Gente che ha avuto il coraggio di sottrarsi alle proprie abitudini di vita che li stavano conducendo all’infelicità e alla depressione. La capitale tedesca è stata vista come la panacea di tutti i mali, il mitico nirvana dove ri-iniziare la vita , quasi come un gioco possibile a tutti. Berlino ovvero il sogno che si fa realtà. Berlino, dove la vita non costa nulla; dove le case costano la metà; dove i servizi sono una cosa inconcepibile qui da noi; dove la burocrazia è per finta; dove trasporti, istruzione, svago, teatri e chi più ne ha ne metta, sono alla portata di tutti con un livello d’eccellenza straordinario che sa unire la meticolosità e la precisione teutoniche con la creatività e l’improvvisazione dei nuovi abitanti.

Spiega Barbara Bernardi che «l’idea del documentario nasce da un articolo letto su una rivista quindicinale berlinese Zitty, dove si descriveva un’associazione italiana a Berlino come un luogo di resistenza politica, dove si riunivano italiani che, quasi come degli esiliati, organizzavano forme di protesta e resistenza alla situazione politica italiana del momento». 

«A quel punto – spiega -  sorge  in noi la voglia di andare a vedere e riprendere una di queste riunioni.Una volta là, capiamo che l’associazione Malaparte è un luogo d’incontro, che richiama persone che ‘vogliono stare in Italia pur non standoci’, citando una frase di uno degli intervistati». «Qui incontriamo Corrado Lampe – continua la regista – che è  uno dei fondatori e ascoltiamo la sua storia: a 50 anni compiuti lascia l’Italia perché non riesce più a sopportare il clima culturale del paese, che non gli permette di lavorare e vivere come vorrebbe. Dopo la chiacchierata ci chiediamo come mai quel racconto ci abbia colpito così tanto».  Ergo? «Dopo averne parlato e riflettuto da soli e insieme, ci accorgiamo di avere la voglia di conoscere e incontrare altri italiani che abbiano vissuto la stessa esperienza: andare via dall’Italia nonostante le cose raggiunte. Nonostante il lavoro, una casa, perché “non ci sentiamo più rappresentati” e perché ogni cosa risulta faticosa e difficile, dalla più piccola alla più grande, come portare a scuola i propri figli per lasciarli in  un’unica aula a studiare, mangiare, fare il riposino e a giocare». Le fa eco l’altro regista, Fausto Caviglia: «L’idea è nata nel dicembre del 2010. Io e Barbara eravamo alla ricerca di un tema da sviluppare a Berlino. In maniera abbastanza casuale, tramite un articolo di giornale, abbiamo conosciuto un italiano che vive a Berlino da alcuni anni e che ci ha raccontato diverse storie di italiani a Berlino. Successivamente io e Barbara ne abbiamo parlato insieme: l’idea ci piaceva e il tema ci sembrava interessante. Abbiamo allora dato avvio alla ricerca, coinvolgendo amici e conoscenti che potessero aiutarci nel trovare storie interessanti. Alla fine, dopo alcuni mesi, abbiamo fatto una scelta. E ci siamo concentrati su una tipologia di italiani: i nuovi arrivati. Le riprese del documentario sono finite a settembre del 2011. Da lì è iniziato poi il montaggio».

Il bello di questo documentario è la semplicità con cui tutti gli intervistati dipingono i problemi dell’Italia di oggi: prepotenza, ignoranza, politica invadente e partitocratica, burocrazia corrotta e giustizia inesistente. Potrebbero essere altrettanti consigli per una vera agenda politica per i partiti e i loro leader che invece, e come al solito, si stanno apprestando a queste elezioni con la consueta campagna di menzogne e propaganda abilmente supportata dal servilismo giornalistico dei talk show televisivi e dei maggiori quotidiani nostrani.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:12