Le “Anime Nere” di Gioacchino Criaco

“Anime Nere”. Un romanzo e, poi, un film. Il primo, profondamente avvincente e sconvolgente, scritto in modo magistrale, assolutamente originale, denso di una spiritualità incerta e improbabile, eppure solida, che origina dall’esercizio cosciente del male. Intimista, carico di leggerezza e di primi piani duri come la pietra; il secondo dedicato a esplorare le viscere di un rapporto familiare lungo tre generazioni, in cui un patriarcato apparentemente dominante, si vede, in realtà, dominato da un matriarcato, tanto esile nell’apparenza, quanto essenziale e prevalente nella sostanza. Proprio come si comportano i contrafforti di una cattedrale gotica, che non hanno testimonianze murarie, nel solenne interno delle immense volte a crociera, ma che sostengono l’intero guscio, con le loro enormi spalle esterne, poste lungo le mura di chiusura delle navate laterali. Gioacchino Criaco, l’autore di “Anime Nere” (Edizioni Rubettino), ha una mano straordinaria nell’accompagnarci alla scoperta della Dea montagna, che prende il nome di Aspromonte, e delle sue genti senza padrone che l’hanno abitata per millenni prima di conoscere il padrone borbonico e, poi, quello piemontese.

È lui, l’autore, la vera voce narrante di Calabria, quella che ci descrive, con minuzia di particolari, la vita dei caprai e della gente di montagna, dura, orgogliosa indomabile. “Anime Nere” è, altresì, una lotta per la sopravvivenza di un mondo arcaico, avvolto in una ritualità pagana, che le genti delle valli disconoscono e temono. È un racconto raffinatissimo, coinvolgente, su come nasca spontanea, da una terra purissima, la mala pianta del male, intrisa di dolore, vendetta, sangue e lacrime. Soprattutto, si avverte e torna, come una rondine nera, sempre puntuale al cambio di stagione, l’atmosfera luttuosa, che avvolge, periodicamente, il pianto e la disperazione delle donne. Dolori che si aprono alla mutua tragedia, tra le varie famiglie, divise dalla faida; e che, con il trascorrere delle generazioni, restano incisi come graffiti primitivi sulle spoglie pareti domestiche. Affinché i figli dei figli possano ricordare, e colpire quanto il momento sarà venuto. Un disegno color terra di Siena, che avvolge nei rituali delle doglianze madri, figlie e sorelle, che assistono, come giunchi al vento, flessibili e indistruttibili, alla mattanza dei propri maschi. Perché, in Calabria, morte si riceve e morte si dona. Con la stessa leggerezza.

Anime Nere è la storia di fratelli inseparabili, per nascita e per scelta, il “tutti per uno, Dio per tutti”. Criaco dà avvio al suo racconto partendo da lontano. Dai caprai montanari, che conoscono ogni recesso, ogni bosco, ogni masso della loro Dea ingobbita, percorrendo con i loro armenti sentieri senza ritorno, per chi non sia figlio di quella divinità. Tutto ha inizio con i sequestri di persona. I sequestrati, provenienti dal Nord o dai territori viciniori (in quest’ultimo caso, si tratta di ricchi possidenti e borghesi calabri), vengono definiti “porci”, perché il maiale, per il capraio d’Aspromonte, è un animale impuro, di cui se ne allevano pochi esemplari, per mera necessità di sopravvivenza alimentare. Così, il sequestrato, che viene nascosto nella porcilaia, resta con i vestiti laceri, maleodoranti, intrisi della sua urina, in catene, senza più dignità, affinché non osi fuggire o ribellarsi. Nel romanzo, si agita un intero universo sconosciuto ai più. Giovani adolescenti che imparano presto l’arte del delitto fai-da-te, opponendosi ai “pungiuti”, i padrini delle ‘ndrine calabresi (creati dai borboni e mantenuti in vita dal Re piemontese), signori del circondario e mandanti degli omicidi, per chi si era reso responsabile di uno sgarro, o si opponeva alla volontà della consorteria.

Il loro potere era temuto e la vendetta, di chi aveva visto morire sotto i colpi di lupara un padre, un fratello o un amico, doveva avere l’astuzia della volpe e la pazienza di un certosino. Figura esemplare era quella del “tragediatore”. Colui, cioè, che dopo aver subito un grave lutto di mafia, scompariva per anni, per poi tornare al paese, e aspettare paziente che qualcuno si rendesse autore di uno sgarbo, nei confronti del boss. Dopo di che, bastava colpire per primo, nell’ombra, lasciando ricadere la colpa sull’ignaro offensore e sulla sua famiglia. Anime Nere è la storia di giovani rampanti, che iniziano con rapine di poco conto, per salire sempre più in alto, con il primo colpo da centinaia di milioni di lire. Il denaro serve a dare un po’ di dignità alle loro famiglie, nate e cresciute nella miseria della pastorizia, fino a diventare una fabbrica di moneta, da nascondere in grandi sacchi, sotterrati come gli arsenali, ben oliati, sempre pronti a servire la mano assassina dei nuovi predoni.

Questo rivolo denso di morte e dolore, addensato nelle anime nere di una piccola coorte di giovani decisi a tutto, astuti e imprendibili, si sposta nella grande Milano, inventandosi letteralmente i canali di rifornimento all’ingrosso di eroina pura, grazie ad accordi con i trafficanti turchi, che li rende, in pochi anni, immensamente ricchi. E quando l’era del braccio teso e dell’ago in vena di un’intera città si avvia al tramonto, ecco il nuovo risorgimento con la polvere bianca, importata in quantità industriali dal Sud America. E, intanto, la ruota degli omicidi gira senza sosta, con continue puntate e ritorni nei territori aspromontani, fino vendicarsi, all’apice della forza e del potere, degli “intoccabili”, dei grandi padrini della ‘ndrangheta calabrese. All’odio estremo, si alternano gli episodi di cameratismo e fratellanza, con banchetti, sacrifici pagani di capretti e, perfino, l’amore vero. Bellissime le immagini, quasi rubate, di un sequestro organizzato dalla banda, in cui si coglie l’umanità latente dei criminali, e la grandiosità del sequestrato, felice che i banditi abbiano risparmiato i suoi congiunti, aspettando il ritorno del padrone di casa, anziché portarsi via una delle giovani figlie. Lui, l’ingegnere, che familiarizzerà a tal punto con i suoi guardiani, da muoversi libero, soltanto sulla parola, nei boschi, in loro compagnia e che sarà vicino alla banda, nella tragedia e nei momenti più felici, senza tradirli mai.

Stato e Antistato sembrano appartenere allo stesso Giano bifronte, in cui i pungiuti (i membri delle ‘ndrine, che giurano con il sangue, pungendosi un dito) sembrano giocare da ambedue le parti, a seconda delle convenienze. E, poi, una cornucopia di collusioni, di corruzione dilagante, di vite sciolte quotidianamente nell’acido dei piaceri e dei vizi terreni, senza tregua e senza sosta, sempre con l’adrenalina a mille, tanta quante sono le identità false dei protagonisti. Che rimangono sempre delle ombre, senza nome e senza volto. Il tutto, cadenzato a tratti regolari da omicidi su commissione, operati anche all’estero, agli ordini di personaggi insospettabili e spietati, per punire i dissidenti, che volevano liberarsi di qualche feroce satrapo mediorientale. Arabi che tradiscono, e regalano anni di prigione ai due principali protagonisti, per venire poi raggiunti e giustiziati con armi pesanti, che fanno scempio dei corpi. Così come accade per i capi mafia, che i “figli dei boschi” (come si definiscono i giovani protagonisti) riescono a raggiungere all’interno delle loro dimore blindate, o all’aperto, in agguati perfettamente oliati e studiati, scomparendo puntualmente nel nulla. Fino al dramma finale: bellissimo, delicato e imprevedibile.

Come quello del film, del resto. Qui è la cocaina la grande protagonista fin da subito. E con lei, la sua più fedele compagna: il denaro facile, con i suoi canali di riciclaggio in attività lecite. Ma la ricchezza non serve a intimidire il “Don” locale, mandante dell’assassinio del padre dei tre fratelli che, in tanti anni, non hanno trovato il tempo di farsi giustizia. E il nipote, che vuole esserne l’angelo vendicatore, verrà tradito dal suo miglior amico, con un fratello down e un padre vedovo, che non avrebbero mai potuto sopravvivere, senza la protezione del boss locale. Poi, la tragedia, l’eccidio, per mano di chi non avrebbe mai dovuto colpire.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:25