Per una cultura del dialogo

Il dialogo è innanzitutto uno scambio tra due o più persone che desiderano conoscere diverse culture e che considerano la diversità una ricchezza. Prendiamo il caso specifico della religione. Nella società di oggi multietnica, multiculturale e multi-religiosa diventa necessario un confronto se consideriamo che Dio esiste in ogni religione con una faccia diversa. Ogni professione di fede (ebraismo, cristianesimo, islam, induismo ecc…) deve quindi essere oggetto di discussione senza atteggiamenti opportunistici, ma con sincera apertura e desiderio di conoscenza.

Un simile atteggiamento di apertura deve essere necessariamente allargato al pensiero non religioso, che può comprendere l’agnosticismo, il laicismo e l’ateismo. Nel mondo attuale esiste una partizione che da una parte vede allineati i fideisti, ovvero coloro che hanno fede nella tecnologia, nelle verità religiose o in un credo politico e dall’altra i dubbiosi, ovvero laici, agnostici o laici che esprimono un loro pensiero e i loro dubbi di fronte all’atteggiamento aggressivo dei fideisti convinti di avere la ragione dalla loro parte. Per lungo tempo questi mondi si sono solo sfiorati senza lanciarsi in un confronto costruttivo dove la diversità è ricchezza e dove il fondamento è il rispetto delle diverse opinioni in uno spirito di tolleranza che diventa la premessa possibile per la creazione di una sintesi positiva per tutti.

Nel mondo attuale dominato dalla comunicazione di massa resa ancora più accelerata dalla rete, dove le infrastrutture dei trasporti interplanetari sono sempre più veloci, questi due mondi si trovano sempre più vicini, con intersezioni e sovrapposizioni culturali, commerciali, politiche. Quanto appena detto costituisce in sintesi il contesto nel quale appare evidente che il dialogo diventa una necessità piuttosto che una soluzione condivisa laddove nessuna delle parti intende spontaneamente rinunciare alla propria identità etnica, culturale, religiosa ed economica in favore di un teorema unificatore mondiale che viene sentito come una eco lontana rispetto alle pressanti necessità quotidiane della maggioranza della popolazione mondiale attanagliata da una crisi economica che uccide.

Il dialogo non è retoricamente un obiettivo edificante come spesso viene disegnato da una stampa superficiale e conformista, ma appare sempre più come una emergenza per evitare che il pianeta sia bruciato da un crescente numero di conflitti militari, ma anche di cyberguerra, per non parlare della corsa distruttiva all’accaparramento delle fonti alimentari e dell’acqua a danno dei popoli più deboli. Dialogo non come esercizio di buonismo, ma come primaria via d’uscita dai fondamentalismi dettati dall’ignoranza madre della intolleranza e della violenza. Dialogo che segua gli incerti confini dell’impero dell’etica, come felicemente disse Borges. L’Etica come terreno comune di ogni fede e di ogni visione costruttiva del mondo e basata su pochi semplici principi dettati dal senso comune (non rubare, non uccidere, ecc.).

Ma proprio quando la soluzione è semplice, la sua applicazione diventa difficile quando va a cozzare contro interessi politici e oligarchici che vogliono il mantenimento di un mondo afflitto da una emergenza permanente che non fa prendere le decisioni giuste. Da una fibrillazione che rende instabile istituzioni ed avvenire spezzando così la fiducia collettiva e creando un mondo di persone asservite e prive di dignità. Un mondo cupo, senza fiducia, senza dialogo, senza scambio di esperienze, assoggettato alla ossessiva e martellante ricerca del profitto è un mondo che non salva nessuno, nemmeno coloro che lo hanno creato e lo mantengono in questo stato

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:26