Nerone di Sylos Labini   in scena al Quirino

Ma insomma, chi era questo Carneade dell'Imperatore Nerone? Una sorta di folle con lo scettro, che brucia i quartieri popolari per costruire su quelle ceneri la sua Domus Aurea, come accade in posti sciagurati di questo Bel Paese, dove le consorterie criminali non si fanno scrupoli di suscitare le fiamme dell'inferno per sfigurare irreversibilmente aree paesaggistiche di rara bellezza e, poi, cementificarle senza alcun rispetto in nome e per conto del Dio Profitto? Oppure quel finto barbaro d'Imperatore era anche un raffinato urbanista che intese bonificare col fuoco purificatore un ricettacolo di topi e donne di malaffare, com'era all'epoca la Suburra romana, per dare molto più respiro ai quartieri circostanti? Ecco, a questo e molti altri interrogativi cerca di dare una risposta originale lo spettacolo recitato e diretto da Edoardo Sylos Labini in scena al Teatro Quirino fino al 31 gennaio, dal titolo “Nerone duemila anni di calunnie”. La scenografia è lussureggiante, ricca di colonne a semicerchio, tendaggi e un capiente triclino che viaggia da tutti i lati sul piano avanzato del palcoscenico, per accogliere ora l'Imperatore, poi Poppea, poi entrambi e ancor dopo perfino l'atto incestuoso tra il figlio e Agrippina.

Particolarmente originali sono gli abiti delle due donne e le mise imperiali di Nerone, queste ultime un mix tra laico moderno e mantelli senatoriali, in cui i pantaloni prendono il posto delle tuniche. Ma Sylos-Nerone è un appassionato di allegorie: utilizza l'antico per parole molto moderne che raccontano le stesse corruttele, l'identica sete di potere e il cinismo esasperato per ottenerlo a qualunque costo, uccidendo o facendo uccidere perfino madre, padre e fratello. Certo, viene voglia di giustiziarla noi dalle poltrone di platea quell'Agrippina feroce e antipatica, che taglia perfino le teste del marito e dell'altro figlio Britannico e che si concede a un Nerone edipico, follemente innamorato di quella sua madre dispotica e tiranna, pur di toccare sensualmente, carnalmente il potere, di cui fu la prima donna amministratrice in una tradizione imperiale profondamente maschilista.

Ma, l'altra faccia che Sylos-Nerone ci propone di osservare senza veli ideologici è la parte che insiste ossessivamente, attraverso una ripetizione corale a più voci, del tipo "il venticello è una calunnia...", sulla ricostruzione delle riforme sociali di quell'imperatore per certi versi rivoluzionario, nel bene e nel male. Nel bene, quando libera il popolo dalle catene delle gabelle vessatorie e dall'oppressione fiscale delle classi agiate e parassitarie, proclamando ragioni iperliberiste, del tipo: “Lasciando più soldi in tasca alla gente, aumenteranno i consumi individuali e fioriranno nuovi commerci, creando così più ricchezza per tutti e per la grandezza di Roma”. Concetti-paradosso, certo, traslati da un linguaggio molto moderno per essere reinnestati in un'epoca dove quei discorsi erano solo nella mente di Giove (o, meglio, di Atena!). Ma questa è la forza del teatro: fare capire ai moderni perché Otone, ex marito di Poppea moglie di Nerone, l'istitutore dell'Imperatore, Seneca, e il nobile intrallazzatore Rufrio (sorte di Licio Gelli dell'epoca!) si coalizzano per combattere il potere imperiale, organizzando un complotto (poi fallito) per avvelenare Nerone.

Perfida e lucida è la denuncia del ruolo dell'intellettuale, come Lucio Anneo Seneca, che si arricchisce amministrando precetti e consigli per il bene dell'Impero mentre in realtà, complotta per tradire e per aumentare a dismisura il suo potere e la ricchezza personali, sfruttando il suo ruolo di "persona di fiducia", come fece il feroce Tigellino. Anche la persecuzione contro i cristiani, per cui si è affermata e consolidata nella storia la figura neroniana come quella di un tiranno sterminatore, viene riconsiderata in una prospettiva del dubbio: Nerone era solo un folle, disturbato e maniaco, oppure, in effetti, non perseguitò i cristiani per via della loro religione ma perché "politicamente" impegnati contro Roma e l'Impero? Molto interessanti le coreografie, in cui tutt'intorno alle figure attoriali protagoniste si muovono numerosi figuranti ambosessi, con abiti procaci e discinti per le donne, severe livree da moderni paggi per gli uomini e tanta biacca per un mimo vero, che funziona come un immaginario doppio del discusso Imperatore.

Insomma, uno spettacolo denso di idee e discorsi originali sul teatro, sulla società la storia, il profondo malcostume del potere. Complimenti a Sylos Labini e a tutta la compagnia. Spettacolo certamente da non perdere!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:23