Elogio della diversità

Se si dovesse indicare uno dei tratti più caratteristici del pensiero sociale e politico dell’antropologa Ida Magli, quello che forse più contraddistingue la sua passione polemica civile, lo si potrebbe sintetizzare nell’elogio della diversità. Gradita ospite della Lidu Onlus nel 2012, per un dibattito sul suo volume “Dopo l’Occidente”, ne ricordiamo, in occasione della sua morte, alcuni dei tanti spunti di riflessione che ha lasciato.

L’ antropologia nasce dallo studio delle diversità culturali, sociali ed etniche, si alimenta di esse in profondità per poi produrre sbocchi di analisi dissimili: lo studio comparativo, la ricerca di fattori comuni universali, o la pur importante funzione di raccolta ed in qualche modo di tutela delle diversità stesse. Tra le caratteristiche che accomunano gli antropologi ad altri studiosi di scienze sociali c’è il distacco, spesso inevitabile e talora essenziale, tra l’oggetto studiato ed il proprio sentire sociale o morale. Studiare ed analizzare una società non significa necessariamente condividerne valori, modi e comportamenti, anzi, come affermava Gino Germani, il sentirsene in parte esclusi spesso acuisce la sensibilità di indagine e discernimento. La Magli ha avuto lo spirito dell’antropologa nel desiderio di tutelare il grande patrimonio culturale italiano, ma anche una forte e libera passione nel porre in risalto le incongruenze, le meschinità, le debolezze, le tendenze negative, nel difendere il diritto alla diversità culturale ma anche alcuni dei valori forti della nostra cultura. Non è dunque necessario condividere tutte le Sue opinioni o conclusioni per poterle dar merito di queste sue positive caratteristiche, certamente “stonate” in un consesso culturale nel quale oramai l’allineamento, la “doverosa” appartenenza a scuole e correnti di pensiero, l’accondiscendenza ossequiosa ai poteri grandi ma forse ancor peggio a quelli piccoli e meschini, sembra purtroppo prevalere nel panorama del nostro Paese. In ciò fu una italiana rispondente al Suo modello di italianità, quello che ad esempio illustrò nel volume “Omaggio agli Italiani”, cioè una diversità per forma mentis, per l’eredità culturale, per l’ambiente colmo di arte nel quale viviamo, per la refrattarietà a molte grandi teorie e per la capacità di continuare a pensare “nonostante tutto”, che la Magli vedeva come caratteristiche che hanno fatto grandi molti italiani ma che allo stesso tempo li hanno resi invisi agli Europei medi, ed ancor più a quelli mediocri.

L’essersi posta problemi sociali come la convivenza tra culture diverse, le une descritte come permeabili e sostanzialmente modellabili, come quella europea, le altre come impermeabili e votate alla pura continuità della tradizione, come quella islamica, va bel al di là dello studio antropologico ed investe prospettive molto più ampie e profonde. Così come, ragionando della musica di Verdi e di Wagner, affermava “sono le differenze che creano la bellezza”, perché quindi impoverire le proprie radici “imitando” gli altri? Le implicazioni, anche da noi più volte personalmente sollevate, includono uno dei nodi centrali della cultura europea contemporanea: se stiamo perdendo il senso della nostra identità culturale, come Italiani ma probabilmente anche come Europei, quindi anche della nostra storia e della tradizione dei diritti fondamentali e dello Stato sociale, non solo abbiamo, ed avremo ancora di più in futuro, difficoltà a rapportarci con altri popoli e culture, ma non saremo in grado di rispondere ai loro inevitabili e giusti quesiti: Ma voi Europei cosa proponete? Quali sono i vostri valori fondamentali? Quale è la vostra Cultura? Se noi Europei non riusciamo ad avere idee chiare su noi stessi e sull’Europa, come possiamo progettare il futuro e rapportare tutti noi alle altre grandi realtà del mondo?

Decisamente pessimista, però, la visione della Magli sull’Europa che aveva avviato il processo di integrazione, accusato, forse giustamente, di essere guidato solo da gruppi finanziari e di interesse più che da una visione politica di ampio respiro. Ma accusato anche di essere solo germano centrico e giungendo in proposito a dire, duramente: “dobbiamo trarre una conclusione evidente: i Tedeschi hanno portato a termine lo scopo che si era prefisso Hitler: eliminare i diversi. Soltanto il modo non è lo stesso, e tende a far dimenticare quello che i Tedeschi stessi hanno fatto: se si è tutti uguali, senza Nazioni, senza monete, senza bandiere, senza caratteri, non esisteranno più neanche i Tedeschi e il ricordo della loro politica di sterminio.” Il pessimismo di lungo periodo della Magli si incrocia con alcuni altri interrogativi di prospettiva più breve che si potrebbero porre: se qualcosa di irreparabilmente tragico dovesse accadere in Europa, dove potrebbero fuggire gli Europei? Dove sarebbero accolti con pari diritti e con il riconoscimento delle libertà tipiche della loro cultura? Quali Paesi sarebbero disposti a (o potrebbero permettersi) stanziamenti di molti milioni di dollari per aiutare gli esuli europei? Il Nord America potrà, o saprà essere, una soluzione praticabile? Una risposta alla crisi strisciante che attraversa le società europee ed anche agli egoismi sostanziali, pur camuffati da generosa disponibilità (come il direttorio di fatto tedesco, con stampella francese), sta solo nell’Europa stessa, nella sua grande riserva di cultura, nella vitalità artistica, nella storia, nella tradizione giuridica. E diciamo Europa, non Germania e Francia soltanto, quindi con ruoli paritari degli altri Paesi, Italia anzitutto. Ciò non per auto-adulazione, ma perché l’Umanesimo ed il Rinascimento, Beccaria, Filangieri, Pagano, Mazzini, Cattaneo, Einaudi, Ernesto Rossi, ed una miriade di altri giuristi, uomini di cultura, artisti, scienziati, letterati, hanno contribuito grandemente a costruire l’Europa e la sua Cultura. Ovvero, l’Europa senza gli Italiani non sarebbe stata l’Europa, così come non potrebbe esserlo in futuro. Sarebbe qualcos’altro, forse una sorta di sacro romano impero germano centrico, o di propaggine del Commonwealth, o di area di confine della Umma, o di area funzionale del colosso cinese.

Anche per questo motivo, la Magli non poteva non essere fortemente critica sulla gestione dell’istruzione pubblica in Italia, sempre più a rimorchio di idee e modelli stranieri, intenta a risparmiare danneggiando la qualificazione delle generazioni future. Formazione svuotata di contenuti critici e dei due assi portanti del tempo e dello spazio, vista la compressione delle ore dedicate alla storia ed il taglio selvaggio di quelle dedicate alla geografia, queste ultime sempre meno affidate a chi ha specifica qualificazione geografica ed eliminate, nella loro autonomia, da molti indirizzi di studio. Quali cittadini del mondo si dovrebbero formare se privi di tali due strumenti fondamentali? Tutto è stato improntato a logiche contabili di risparmio, ignorando la crescente dequalificazione che produrrà effetti generazionali a cascata; usando etichette banali come “la buona scuola” e orientando il timone verso una deriva culturalmente suicida. Non solo, con attento occhio da antropologa, la Magli rincarava la dose sostenendo che una trasmissione della cultura e della tradizione affidata quasi solo a donne (considerato che l’insegnamento è divenuto area sempre più dequalificata e poco ambita sotto vari punti di vista, quindi prevalentemente femminile) non è culturalmente ottimale; le nuove generazioni avranno dei riferimenti in meno ed un orientamento che oggi danneggia una parte degli studenti, in futuro danneggerà anche i figli di quegli studenti e l’intera società. Allo stesso modo, imitare la povertà linguistica e la rudezza altrui, perdere l’uso delle raffinate possibilità della lingua italiana a favore di anglicismi spesso rozzi, contribuisce a determinare quell’atteggiamento di rifiuto della propria cultura (italiana) delle nuove generazioni che giustamente allarma l’antropologa “nulla è più significativo che questa collaborazione dei giovani al disprezzo della propria terra, dell’Italia, persino nelle cose in cui è storicamente la più ricca, la più ammirata nel mondo“. Quanto può sopravvivere una qualsiasi società che rifiuta la propria cultura e storia e le disprezza?

La difesa dei diritti delle donne è stata poi una delle battaglie costanti della professoressa Magli, ma ancora una volta condotta fuori dagli schemi abituali e spesso banalizzanti. Giustamente contraria alle cosiddette quote rosa, che non fanno che ribadire una subalternità e diversità di fatto delle donne, ha più volte criticato l’incapacità della cultura islamica di prevedere un ruolo paritario per le donne, permanentemente confinate ad un ambito inferiore. Commentando gli assalti alle donne avvenuti a Capodanno a Colonia, scriveva amaramente, tra l’altro: “... Il cristianesimo resiste, malgrado i colpi di piccone dati dagli scandali dei preti e la presenza di un Papa che non smette mai di esortare all’accoglienza? Di fronte a tutti questi fallimenti possiamo supporre, anche se non ci sono le prove, che siano state le autorità di Bruxelles a voler dare un’ accelerazione definitiva alla distruzione della civiltà europea. Con una trovata geniale è stato dato il via all’arma primordiale, quella che tutti i maschi hanno sempre adoperato sul nemico vinto: il possesso delle donne”. In un precedente articolo del 2014, dal titolo presago “Il conto degli sbarchi lo pagheranno le donne”, aveva affermato: “Per quanto le donne siano oggi in grande maggioranza ben consapevoli di se stesse, dei propri diritti, della propria libertà, sono però in qualche modo fragili, poeticamente alla ricerca di un amore “diverso”, vagheggiando un maschio sessualmente e psicologicamente forte, capace di dominare, tipo ormai rarissimo da trovare fra gli italiani. Le promesse di parità non contano: una volta sposate con un musulmano le donne sperimentano la forza della cultura islamica non soltanto nel marito ma in tutta la sua famiglia e sono costrette ad una obbedienza che diventa anche più grave con la nascita di figli. Ma possiamo intravedere pericoli ancora più gravi per la tenuta della società nei messaggi che si sprigionano nell’aria, dal punto di vista culturale, con una forte presenza di donne velate, tabuizzate, spesso infibulate, che coltivano doveri, ideali, mode, sentimenti, passioni, linguaggi in totale contrasto con i nostri. L’aria culturale non la si può chiudere nelle moschee o nei tribunali appositi: la respiriamo tutti. La “tolleranza” ne facilita la circolazione ovunque…”. E per combattere le mutilazioni genitali femminili ed altre forme analoghe di manipolazione del corpo femminile, la Magli non ha esitato ad invitare i credenti della comunità ebraica a sostenere, con un gesto di grande valenza simbolica, l’abolizione della circoncisione maschile, per dar prova di coerenza nella difesa dei diritti umani e per invitare i tradizionalisti musulmani a proibire altre pratiche (spesso contro le donne) adottate prendendo alla lettera il dettato coranico. A ciò si collega anche il problema del delicato rapporto tra religioni, con relativi testi sacri, e società laica. Così come il Cristianesimo aveva in gran parte cancellato la cultura religiosa dell’antica Roma, altrettanto è avvenuto per altre culture del mondo ed il meccanismo è destinato a manifestarsi ancora. La Magli esplorava simbologie e fattori in gioco nell’attuale incontro-scontro tra il modello culturale europeo e l’islamico, ad esso più geograficamente limitrofo, affermando: “Nell’islamismo sono in atto, quindi, le strutture universali del Sacro e la loro organizzazione sociale a livello elementare, strutture che vibrano spontaneamente nell’animo umano perché rispondono, acquetandolo, al bisogno di sicurezza che assilla ogni uomo.”

In “Maometto e la violenza”, la Magli sottolineava poi la specificità del Corano, che in un suo diverso scritto aveva già invitato tutti a leggere per “non morire di Islam”. La Magli precisava che: “C’è un fattore in più, però, nella religione di Maometto che domina su tutti gli altri imprimendogli un’inesauribile vitalità: bisogna combattere per la vittoria di Allah. È l’ordine che Maometto ha dato fin dall’inizio e che ha garantito e garantisce tutt’oggi l’espansione dell’Islamismo: combatti e vincerai. Il termine “combattere” è uno dei più frequenti nel testo del Corano: Islam e battaglia vittoriosa sono la stessa cosa perché è Dio che combatte quando i suoi fedeli combattono.”... “Una volta padroni dell’Europa, quindi, i musulmani “giustamente” ne distruggeranno “l’europeità”, come è sempre successo quando una cultura è subentrata ad un’altra”... “Il modo di vivere musulmano, regolato dai precetti dettati nell’antichità da Mosè al suo popolo e che Maometto ha confermato nel Corano, essendo “sacro” deve essere osservato alla lettera e impregnerà di sé l’ambiente europeo, cancellando qualsiasi traccia del nostro”.

Difficile dire se la professoressa Magli abbia lasciato predominare solo la visione negativa degli eventi. I tanti spunti di riflessione antropologica lasciati, tutti di una disarmante chiarezza, estranea al dilagante “politicamente corretto”, segno di una assunzione in prima persona della responsabilità delle proprie analisi e dei propri valori, sono accomunati da una grande passione per la propria ricerca sociale, dalla difesa della dignità umana, dall’amore per l’arte e la cultura italiane che, da antropologa, riteneva fossero assolutamente da salvare nella loro peculiare diversità antropologica.

(*) Presidente della Commissione Cultura Lidu Onlus

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:13