Lucia e il “Potere”:   parte prima

Lo scorso 4 maggio si è svolto al Teatro Eliseo di Roma il primo dei quattro colloqui sul “Potere” condotti da Lucia Annunziata, che incontra i più grandi protagonisti della nostra epoca facendoli rivivere attraverso la testimonianza di intellettuali di primissimo piano.

In questa prima puntata il simbolo da umanizzare era nientemeno che Papa José Bergoglio, di cui hanno parlato assieme a lei Eugenio Scalfari e monsignor Nunzio Galantino, segretario della Conferenza Episcopale Italiana, scelto dall’erede di Pietro perché (?) “ultimo nella lista dei consigliati”. Si parte con la lettura di un testo scritto in latino su un foglio di carta bianca (quindi: anonimo e a sorpresa!) da Papa Ratzinger al momento in cui annunziava ai suoi fratelli porporati la rinuncia al soglio pietrino per “mancanza delle forze necessarie” a portare avanti una così grande responsabilità. Così, siccome tra molto anziani ci si intende, Scalfari dà inizio all’atteso confronto tra laicità e ortodossia cattolica parlando della sua personale scoperta della personalità di Francesco I, da lui approfondita attraverso un carteggio sia privato che pubblico, seguito da almeno tre incontri al Vaticano.

In risposta ai suoi editoriali comparsi sul quotidiano “la Repubblica”, ecco che un bel giorno gli giunge una lettera di Bergoglio (preannunciata in pochissime righe da un collaboratore del Pontefice) di ben nove pagine! Ma no che il Papa non sta tentando, con ciò, di convertirlo (come insinua cordialmente la Annunziata)! “E sa perché?”, le dice Scalfari, perché “auando l’ho incontrato a Santa Marta (io e lui siamo amici, in base alla sua espressa volontà!) nella stessa stanza in cui era ospitato il Cardinale Martini, mi ha detto che non c’era pericolo, in tal senso, perché “lei ha un pensiero molto lucido sull’uomo e sull’Aldilà. La chiesa missionaria non fa proselitismo: vuole capire con chi parla. E lei è un non credente che apprezza molto la predicazione di Cristo: se si convertisse mi verrebbe a mancare un prezioso interlocutore!”.

Durante il colloquio il Papa si era stupito che io non prendessi appunti in merito alla nostra conversazione. Gli risposi che mi ero scritto le domande, ma non le risposte: io voglio capire il suo pensiero, gli dissi. Quando riterrò di averlo fatto ne scriverò con parole mie. Non mando mai a rivedere il testo: ma a Lei ritengo proprio che glielo debba mandare. È una cosa inutile, mi rispose lui. E io glielo mando lo stesso, gli risposi. Certe cose che il Papa mi ha detto non le ho scritte. Ma altre che ho scritto non me le ha dette. Poco tempo dopo, uno stretto collaboratore del Papa mi chiamò e mi disse che il Pontefice aveva dato il suo ok. “Ma il Papa l’ha letto?”, insistetti io. E Bergoglio di rimando, “ridigli ok!”. “Seppi che l’aveva letto solo dopo!”.

Per Scalfari il punto nodale discende da un ragionamento storico: dopo i primi trecento anni dalla nascita di Cristo inizia il potere temporale senza però mai abbandonare l’azione religiosa e misericordiosa. Perché Bergoglio ha scelto, dunque, di chiamarsi Francesco e non Ignazio (di Loyola), come il fondatore dell’Ordine dei gesuiti? Perché quest’ultimo aveva solo istanti brevi di misticismo, mentre Francesco era esattamente all’opposto: i suoi frati non dovevano vivere in convento ma essere sempre in movimento e in viaggio. Il Santo era perennemente in contatto con Dio e con le sue creature. Per seguire il suo esempio, in Piazza San Pietro il Papa si è seduto su di una sedia qualunque e ha confessato i giovani presenti. Perché, dal suo punto di vista, la confessione è un “discorso”. Lui è un rivoluzionario: lotta contro il temporalismo e desidera una Chiesa missionaria di testimonianza.

Molto più “in”, e ben informata sui fatti della Chiesa, è - naturalmente - la testimonianza di monsignor Galantino, da cui veniamo a sapere che il Papa vuole sì parlare con gli altri, ma non cerca la loro conversione. Il monsignore ricorda molto bene quando Bergoglio, dopo la sua nomina a segretario della Cei, è voluto andare nel Paese di Cassano, la sede vescovile di Galantino, per chiedere scusa ai fedeli di aver sottratto per cinque anni il loro pastore. Fu in quell’occasione, tra l’altro, che il Papa espresse la sua grave e ferma condanna contro i mafiosi. Certo, c’è un’evidente incapacità di capire la novità di Francesco, che punta a definire le problematiche globali tra cristiani e non battezzati, dato che, a quanto pare, ognuno proietta la propria visione delle cose nelle parole e nei gesti del Papa. Pressato dall’Annunziata, Galantino è stato invitato a commentare quella foto che ritrae i due Papi mentre si scambiano i regali: Bergoglio dona al Papa Emerito una bellissima icona bizantina, mentre Ratzinger gli dà in cambio una scatola bianca. Che cosa conteneva? Forse, le carte dei grandi scandali del Papato, vera causa della rinuncia di Benedetto XVI? Tuttavia, per Galantino quel gesto (l’ipotizzata consegna del carteggio segreto che spiega il passo indietro del Papa) non è la fine di un ciclo, benché nasca in tutta evidenza da una situazione di gravi tensioni interne: Ratzinger si è dimesso perché ama la chiesa. Per lui, mondare la sporcizia che c’è nella comunità di Cristo è stata la sua Via Crucis, perché nel clero, pur guidato dall’ambizione della fede, c’è anche grande fragilità. La stanchezza di Ratzinger era proprio conseguenza del fatto che giudicava quello sforzo di rinnovamento al di sopra delle sue forze, pur avendo, da parte sua, edificato un pontificato di grande preghiera, ispirato alla realizzazione di una chiesa bella e presentabile.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:24