La pedagogia  a tutela della scuola

Finite le vacanze, con l’arrivo dell’autunno da qualche giorno hanno riaperto le scuole. Ma quale scuola? La scuola di chi? La cronaca ci ha scosso anche quest’estate con notizie raccapriccianti di maltrattamenti avvenuti in un asilo nido di Milano. Il caso è uno dei tanti che si sono verificati durante l’anno e che hanno avuto come teatro, appunto, scuole d’infanzia, e come attori bambini piccoli, piccolissimi, da pochi mesi a due, massimo tre anni. I media hanno parlato di calci, spintoni, morsi! In una scuola siciliana, alcuni mesi fa, l’insegnante ha addirittura minacciato i suoi alunni perché mantenessero il silenzio su ciò che avveniva durante l’orario scolastico, pena botte e percosse aggiuntive. Insomma, uno scenario terrificante al quale dobbiamo porre riparo con interventi mirati su più fronti.

Ma cosa può scatenare tanta rabbia e violenza? Gli orari prolungati , il dover star dietro alle necessità (“primarie”) di una platea massiccia ed esigente? Si tratta di bambini che non sono ancora autonomi, ricordiamolo, e che molto probabilmente richiedono un controllo ed un asservimento totali. Controllo ed asservimento che forse questi insegnanti non sono in grado di offrire loro. Forse per stanchezza, forse per frustrazione, o per scarsa vocazione, oserei dire, dal momento che anni fa si diventava insegnanti per passione (ma come si potrebbe altrimenti, dico io!) mentre adesso lo si fa per disperazione (non trovando altro, come se poi fosse facile!). Intanto basti pensare che, un tempo, si entrava nella scuola per vocazione nel 90 per cento dei casi, mentre al giorno d’oggi vi si approda nel 90 per cento dei casi per convenienza o come “ultima spiaggia”.

Ad ogni modo, al di là dei sensazionalismi di alcuni mass media, credo che sia doveroso segnalare un errore di fondo. Nelle scuole, di ogni ordine e grado, dovrebbe essere inserito esclusivamente personale preparato e formato e, soprattutto, in possesso di titolo, vale a dire la laurea in Scienze della formazione. Molto spesso vengono arruolate persone assolutamente impreparate a gestire un’utenza simile, sovente senza titoli di studio appropriati, e sprovvisti di confacenti percorsi di tirocinio ed iter formativi. Per fortuna, al Governo sono arrivate proposte di riforma del settore, al fine di fornire dei piani di regolamentazione che siano validi per tutti i gli asili nido e, soprattutto, per riordinare il flusso di arruolamento del personale. Questa non è la soluzione ma sicuramente un inizio ed una garanzia di professionalità. E credo che da qui sia giusto partire. Un’ultima nota al riguardo: cambiano i tempi ed oggi il lavoro docente ed educativo è usurante. A sessant’anni, in una classe a sezione sovraffollata, potrebbe capitare a chiunque (ma per carità, nessuno va giustificato!) di perdere la pazienza e il controllo e mollare un ceffone ad un moccioso. Si chiama stress (e c’è pure lo stress dell’educatore) e, quando raggiunge livelli elevati, può trasformarsi in una patologia. Quella che viene definita la sindrome da burnout. È la patologia in cui incorre chi si prende cura dell’altro per mestiere e arriva ad un certo punto in cui non riesce più ad affrontare lo stress in maniera costruttiva ma, anzi, comincia a perdere il controllo non riuscendo più a gestire le situazioni, manifestando cedimenti fisici e comportamentali. Con questo non voglio giustificare i fatti incresciosi verificatisi di recente in alcune scuole italiane. Il mio vuole essere un invito alla riflessione oltre che un monito. Chi è affetto da “burnout” non ha la facoltà di prendersi cura di nessuno, nemmeno di se stesso. Cosa fare allora? Io ritengo sia indispensabile sottoporre il personale docente a controlli di idoneità alla funzione. Inoltre, superata una certa età, dovrebbe essere fisiologico cambiare funzioni, pur rimanendo nella stessa amministrazione, valorizzando le esperienze a beneficio delle nuove generazioni di docenti. Solo in Italia si pretende che un docente rimanga in una classe sovraffollata fino alla pensione; e l’età della pensione è stata pure elevata! In effetti l’Italia, in ambito europeo e internazionale, ha la classe docente più anziana. Con l’ultimo concorso farlocco questa età si è abbassata, ma comunque parliamo sempre di persone che entrano a tempo indeterminato (una volta si diceva “in ruolo”) a 40 anni! Forse tanti, troppi. E cosa fare se nessuno si preoccupa di effettuare tali controlli? I genitori dei bambini coinvolti urlano, invocano la videosorveglianza nelle aule, nelle scuole. A me non sembra una possibile soluzione. Il rapporto educativo formativo è basato sulla fiducia reciproca (come non ricordare la figura del pedagogo di Rousseau), sulla stima e sul rispetto, e ciò verrebbe sicuramente inficiato da un sistema di controllo continuo (tipo “Grande fratello”) e costante.

Una proposta interessante arriva, invece, dal mondo politico, che finalmente si interessa alle questioni educative, e precisamente dal M5S. Il disegno di legge, denominato C. 2656 (“Disciplina delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico, educatore professionale socio-sanitario e pedagogista”), è attualmente al vaglio del Senato e, se approvato (come si spera), conferirà un riconoscimento giuridico alla professione e quindi una sua proficua collocazione nei contesti di competenza, compresa ovviamente la scuola, dove andrà ad affiancare l’insegnante, per aiutarlo a far fronte a tutte quelle problematiche di stretta pertinenza pedagogica, fornendo ad essi un valido supporto. Si tratta di una figura che inoltre presterà sostegno alle famiglie, attraverso incontri di consulenza pedagogica, e supporto agli studenti. Tutto ciò grazie anche al lavoro di sensibilizzazione svolto dal dottor Alessandro Prisciandaro, presidente nazionale dell’Associazione pedagogisti ed educatori italiani (Apei), che ormai da anni sta apportando un validissimo contributo alla causa, unitamente agli iscritti all’associazione, per il riconoscimento dei diritti di pedagogisti ed educatori. Diritti a vedere riconosciuta non solo la propria professionalità, ma l’inserimento in tutti quei settori di loro stretta competenza, e che vedono invece la presenza spesso spropositata di altri professionisti che non dovrebbero e non potrebbero intervenire perché privi delle peculiari competenze e conoscenze in quei determinati campi, esclusivo appannaggio dei pedagogisti.

(*) Pedagogista dell’Apei

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:35