In questi giorni la critica cinematografica internazionale applaude il successo di Dogman, l’ultimo capolavoro di Matteo Garrone. Ci s’interroga spesso su quale sia il destino del cinema italiano contemporaneo; lo si è fatto nell’ultimo periodo, con la delusione che Loro 1 e Loro 2 di Paolo Sorrentino ha suscitato in molti, ad esempio.

Il film, presentato a Cannes, sta facendo parlare di sé in maniera positiva, perché rappresenta un modo di fare arte che si avvicina alla bellezza; se da una parte però Dogman sta ricevendo complimenti da parte della critica, dall’altra il regista deve fare i conti con la denuncia avanzata dalla madre della vittima del “canaro”, per il modo in cui è stato rappresentato suo figlio sul grande schermo, quando nella realtà dovrebbe apparire “come una vittima, solo come una vittima finita in un brutto giro. Non come un violento criminale che se l’è cercata”.

Sembra però che tutti siano d’accordo con un giudizio espresso all’unanimità: Marcello Fonte è eccezionale, dolce, poetico, ricco di luci e di ombre. È il divo del momento, premiato a Cannes con la Palma d’oro per il miglior attore protagonista e chiamato pochi giorni fa da Cate Blanchett a salire sul palco della 71esima edizione del Festival del cinema; lui, sorpreso e commosso, felice come un bambino che scopre un mondo che lo sta amando, lo sta chiamando e lo sta esultando, si alza dalla platea, e dopo esser stato accolto in un pacato, riconosciuto e stimato abbraccio da parte di Roberto Benigni, al pubblico dice: “Da piccolo, quando ero a casa mia e pioveva sopra le lamiere, chiudevo gli occhi e mi sembrava di sentire gli applausi, invece adesso li apro e quegli applausi siete voi, che mi date il calore di una famiglia. Qui mi sento a casa e mi sento a mio agio. Ringrazio Matteo, che ha avuto coraggio”.

Parole talmente vere e belle nella loro semplicità, da suonare come una poesia di chi difficilmente avrebbe immaginato un futuro simile, dalle mura dell’ex “Nuovo Cinema Palazzo” nel quartiere San Lorenzo di Roma, casa sua a tutti gli effetti, dove si è trovato a lavorare con una compagnia di ex detenuti, coinvolti in un programma di inserimento sociale attraverso il teatro.

Dalla periferia calabrese, il sogno della recitazione si è concretizzato con spontaneità, con il lavoro e la perseveranza, in una favola che ora il cinema festeggia: Fonte ha sempre amato il mondo dell’arte e dello spettacolo, con vivo entusiasmo, anche quando andare al cinema era per lui e per la sua famiglia numerosa un lusso troppo grande. A 10 anni iniziò a suonare il rullante nella banda musicale del suo paese di origine; nel 1999 si trasferisce nella Capitale, divenendo il custode del Teatro Valle. Fu proprio in quel periodo che l’uomo scoprì l’attore: esortato dal fratello scenografo ad intraprendere la carriera teatrale, Marcello decise di dedicarsi alla recitazione. Ha interpretato piccoli ruoli in produzioni sia televisive - in Don Matteo e a Stracult nel 2001, nella miniserie Diritto di difesa nel 2004 e in La mafia uccide solo d’estate nel 2016 -, sia cinematografiche, lavorando con Ettore Scola in Concorrenza sleale, come comparsa in Gans of New York di Martin Scorsese, in Corpo celeste di Alice Rohrwacher, in Io sono Tempesta di Daniele Lucchetti e in altre pellicole. Nel 2015 inizia una nuova esperienza artistica, che lo coinvolge in veste di regista, sceneggiatore ed interprete del suo film autobiografico, dal titolo Asino vola, presentato a Locarno Festival.

Poi arriva l’incontro con Matteo Garrone, che lo scrittura per la parte di protagonista in Dogman, in cui Fonte interpreta il “canaro della Magliana”, proprietario di una toelettaura per cani di periferia; è un padre alla ricerca del rapporto con la figlia; un ruolo che si ispira a Pietro De Negri, che nel febbraio del 1988 fece molto parlare di sé per un fatto di cronaca, quando torturò e poi uccise un ex pugile, violento, tossico - Simoncino, nel film interpretato da Edoardo Pesce - che nel suo quartiere diffuse il terrore. Una vicenda, però, che serve a Garrone solo come punto di partenza per il racconto di una storia.

In Dogman le vite dei due personaggi si vanno ad intrecciare, configurando una relazione che scivola verso il degrado e nella fiducia mancata o tradita. Un legame, quello tra Simone e Marcello, costruito sulla instabile simbiosi tra i due, in cui il primo cerca sempre di prevaricare sull’altro, imponendosi con forza.

Fonte interpreta un uomo d’arte e amante dei cani, che adora come se loro incarnassero tutta la bellezza del mondo; dovrà fare i conti con la faccia spietata della crudeltà, portandosi, sulle spalle e nell’anima, il peso del male. Il protagonista del film non ne può più di subire, di essere oppresso dal bullismo che lo soffoca, lo attanaglia; non è più disposto ad accettare le prese di posizione di Simone, a vedere il suo negozio ridotto a luogo in cui l’ex pugile organizza le rapine e gestisce i suoi affari loschi.

Dogman è un film sull’umanità, quella sopraffatta, quella da ricercare; l’uomo intrappolato in un rapporto instaurato sull’identificazione dei ruoli: padre e figlia, amico e nemico, vittima e carnefice.

Marcello Fonte, in occasione dell’evento di premiazione al Festival di Cannes, non ha solo dedicato la Palma d’oro alla Calabria, ma ha regalato alla sua terra il riconoscimento di un successo che viene affermato ora a livello internazionale; un gesto nobile, che dimostra l’umiltà di un uomo che celebra le sue origini, riconoscendo quanto la famiglia e il luogo in cui è nato e cresciuto abbiano influenzato la sua persona e la voglia nel perseguire una carriera segnata adesso da un ricompensa che vale tanto, perchè dà un nome all’impegno che non insegue il successo.

Un artista che spontaneamente è modesto di fronte alla sua grandezza, dimostrandosi sincero nell’anima e trasmettendo il fascino del suo lavoro, è vero e tale come la meraviglia autentica dello stupore di un bambino.

Aggiornato il 23 maggio 2018 alle ore 13:34