Una piscina in piazza San Pietro e un bosco su San Petronio

Mi è particolarmente difficile essere più buono in questo “non Natale”; non che io solitamente gli altri anni lo sia, ma in questo crepuscolo di ventennio (con la “V” per vigliacchi, rigorosamente minuscola) lo sarò ancora meno. Perché questo povero Paese di servi proni ai dettami dittatoriali di un gruppuscolo di folli che non hanno però la genialità del folle, di pazzi che non hanno i sogni degli stessi, ma soprattutto di malvagi frustrati che non hanno neanche la grandezza del Male, ormai è alla fine dei propri giorni. E dall’altro lato leggo ripetute stancamente ogni giorno, le grida isteroidi di chi “disobbedisce” e poi corre ad incassare l’assegno dello Stato per la tredicesima. Insomma, come diceva qualcuno tempo fa, “nessuno è innocente” o se preferite Fabrizio De André, “siete lo stesso coinvolti”. E mentre assistiamo, come sempre, ai ribelli battaglieri ben celati dietro al monitor, quasi fosse un campo di Terrore assoluto dal quale difendere la Terra, agli eroi in pantofole dal bicchiere sempre pieno; là fuori, ignorati da tutti o quasi, ma comunque inosservati da quella cultura tanto sbandierata – troppe volte a sproposito anche a destra – e lasciati essere preda della nequizia livorosa di Giuseppe Conte, di Rocco Casalino e di Roberto Speranza, si associa la volontà di storpiare ancora, un’ennesima volta, la bellezza millenaria d’Italia. Con buona pace degli stantii slogan che da troppo tempo provengono dai soliti difensori a parole e incapaci nei fatti, perché incompetenti.

Ecco che dopo l’orrido “presepe” vaticano, a Bologna si presenta il progetto che vorrebbe completare appunto l’incompiuta San Petronio. E chi chiameremo per compiere siffatta impresa da far tremare le vene ai polsi? Emuli di Eugène Viollet-le-Duc o di Armando Brasini? Giammai! Un archistar deve essere, e un archistar sia! Allora ecco che emerge l’architetto Mario Cucinella, novello epigono di Stefano Boeri che propone, sulla scia del più noto ideatore di boschi verticali metropolitani, di terminare la splendida facciata medievale con un florilegio di piante e addirittura alberi d’alto fusto come i cipressi. Neanche Hans Ruedi Giger, in un trip da acido, avrebbe immaginato tanto. Verrebbe innanzitutto da domandarsi come trarrebbero nutrimento tali forme di vegetazione, soprattutto i cipressi, ma non è l’unica incongruenza esistente nell’idea di erigere un bosco su San Petronio. Ovviamente qualcuno ha già chiamato questo progetto “provocazione”, e forse lo è in quanto almeno a me provoca uno stimolo emetico difficilmente contenibile mentre viola, violenta in uno stupro biocompatibile e postmoderno, lo splendore dell’architettura sacra medievale. Cucinella infatti afferma: “Un po’ di provocazione, specie da parte di noi architetti, è anche utile. Ben venga il dibattito, anche feroce, se porta a un pensiero collettivo, a una riflessione su un tema che sarà la priorità dei prossimi decenni”.

Ovviamente anche la curia bolognese tace, e non mi stupisce in quanto l’architetto verde (nel senso di vegetazione) ha dichiarato di volersi rifare direttamente ai “princìpi dell’enciclica di Papa Francesco, Laudato sì, sull’ecologia integrale” e ancora aggiunge “nella Laudato sì, Papa Francesco lancia una sfida planetaria per salvare il pianeta. E ora che la pandemia ci ha riavvicinato alla natura, ho immaginato un progetto che lanciasse proprio un messaggio di forte amicizia con l’ambiente. E rappresentasse anche, simbolicamente, un impegno da mantenere. La volontà della città di muoversi”. Mi domando: sarà mai stato informato, durante i suoi studi di architettura, tra un rendering ed un altro, che proprio l’architettura gotica – magari qualcuno rileggesse Fulcanelli ogni tanto – nasce anche dalle cattedrali primeve dei boschi sacri precristiani? Il gotico di cui San Petronio è uno dei più pregevoli esempi italici è un bosco divenuto pietra e luce, ma voi questo non lo dite all’architetto Cucinella, e non ditelo neanche a quella legione di architetti neanche poi star – troppi ne conosco – di cui è piena la provincia italiana, incapaci spesso di disegnare un cerchio con il fondo di un bicchiere. E pensare che ben altre menti quali quelle di Baldassarre Peruzzi o di Giulio Romano e di Andrea Palladio, stesero i loro progetti per il completamento di San Petronio.

Ignari coloro che plaudono a questo progetto del danno che apporterebbero le radici e i ristagni dell’acqua piovana lungo la facciata della chiesa sino al portale scolpito da Jacopo della Quercia, inconsapevoli che sarebbero messe a rischio anche tutte le altre opere tardomedievali e del Primo Rinascimento che la basilica tanto cara ai bolognesi custodisce, a cominciare dall’opera ineguagliabile di Niccolò dell’Arca. Morto ormai il santo Antoni Gaudì, passati a miglior vita nell’empireo dei giusti tutti i grandi architetti che sino alla prima metà del secolo scorso, resero commoventemente sublime la nostra architettura religiosa – e spesso anche quella civile – ci rendiamo sempre più conto d’esser circondati da figure minori e minuscole, le cui ombre sono lunghe soltanto perché basso, molto basso e morente, è il sole sull’orizzonte della Sapienza.

Aggiornato il 21 dicembre 2020 alle ore 10:08