Giordano Bruno

In un mio romanzo (Il professore, la morte e la ragazza, Armando Editore) un personaggio che ha vissuto la tragedia della morte, altrui evidentemente, ma che lo induce a pensare anche la propria morte, si chiude per scoprire ciò che sulla morte hanno pensato coloro che sono pensatori o ritenuti tali. E con mesto giudizio si accorge che né la filosofia né le religioni hanno detto alcunché di verificabile sulla morte. C’è chi dice che si muore per sempre, che esiste soltanto il corpo disfatto nella terra, chi salva l’anima separandola dal corpo e non spiega come mai, chi stabilisce un lungo periodo di separazione tra anima e corpo che poi si ricongiungono, affermazione non provata, chi proclama la reincarnazione, chi il congiungimento dell’anima personale con l’anima totale. Che vi sia un milligrammo di certezze è impossibile affermarlo.

Ma il peggio viene quando investiga sull’esistenza di Dio. In tal caso scopre l’inimmaginabile, che moltissimi i quali sostengono che Dio è inconoscibile nominano Dio. Ma come fanno a sapere, si chiedeva il personaggio, che l’inconoscibile è Dio? Se è inconoscibile non sappiamo che cos’è, perché se sappiamo che è Dio non è più inconoscibile. Vengo all’oggetto di cui scrivo. Nicola Cusano, tedesco italianizzato (1401-1464), celebrato teologo del Rinascimento, scrisse un libretto famoso dal titolo altrettanto famoso: De docta ignorantia, che può intendersi come ignoranza dell’uomo dotto o che l’uomo è dotto e riconosce la propria ignoranza. E su chi riconosce la propria ignoranza? Ancora una volta su Dio. Torno al mio personaggio e a me stesso: come fa Cusano a sostenere che io ignoro Dio, se dico che lo ignoro? Se lo ignoro nominandolo, non lo ignoro affatto. Per essere coerente dovrei: ignoro, ma non so che cosa ignoro.

Eppure la concezione che Dio c’è ma lo ignoro, per quanto assurda possa sembrare, è richiestissima. Allora siamo di fronte a pensatori assurdi, inconsistenti e a lettori creduloni? Per niente. Ritorna la questione già rappresentata discutendo di San Tommaso. L’uomo cerca una spiegazione che abbia una coloritura di verità e l’abilissima combinazione di un’ignoranza dovuta alla conoscenza è apprezzatissima. Non si tratta dell’ignoranza dell’ignorante, ma dell’ignoranza dell’uomo colto, il che rende apprezzabile l’ignoranza. Il ragionamento è inconsistente ma fa presa. L’equivoco nasce, come avviene in questi casi e come avviene nella problematica del male, in una raffinata operazione linguistica. Quando si dice io non conosco chi è Dio si dovrebbe dire: io non so se c’è Dio. Sono due proposizioni differenziatissime, nel primo caso io dò per certo che Dio c’è ma non ne conosco le qualità, nel secondo caso io non so se Dio c’è. Ora il problema “Dio”, non è conoscere le qualità di Dio, ma conoscere se c’è Dio.

Allora sono pensatori inconsistenti, che non reggono la critica? No, sono pensatori consistenti. E come mai e perché sono consistenti pur essendo infondati? Perché da un fondamento inconsistente traggono una consistente conseguenza: che quel che è visibile è la manifestazione di Dio nella natura, ossia la natura come manifestazione di Dio. Pertanto: Dio è ignoto ma la natura come sua manifestazione l’abbiamo davanti agli occhi e tra le mani. Conclusione: Dio e la natura si incontrano. La natura è divinizzata. Anche in tal caso ci sarebbe da discutere assolutamente ma anche in tal caso abbiamo un effetto meraviglioso, Dio si manifesta nella natura!

La natura: ecco il Rinascimento.

Se si formalizzasse la concezione del Rinascimento, dov’è il Rinascimento, dovremmo dire: nella scoperta della natura, il che comporta strabilianti effetti, la scienza innanzitutto, e lì domina il re della natura, Leonardo Da Vinci, e l’esplorazione della natura e lì il sovrano è Cristoforo Colombo, l’immagine dell’universo e lì impera Copernico e poi prima di raggiungere Galileo Galilei, il più grande cittadino dell’universo, colui che cambiò la natura rendendola universo, dove non c’è centro e confine, dove l’universo è talmente totale da essere Dio e Dio non può sorpassare la natura e natura e Dio sono un unico soggetto, avvintissimi, e l’uomo, il singolo non è sperduto nell’universo come una nullità e vulnerato dall’infinito, anzi si ampia, si infinitizza, lascia alla brava gente il Dio personale delle religioni comuni e si inoltre nelle totalità nella quale svolge la sua potenza vitale.

Quest’uomo cosmico che non dava confini all’individuo e lo infinitizzava, questo scrittore beffardo con un linguaggio a sbalzi, con termini di stampo suo, viaggiatore, ramingo, questo frate domenicano che scopriva Dio ovunque e soprattutto nella potenza dell’affermazione vitale, quest’uomo ebbe nome Giordano Bruno. A suo modo un santo della libertà del pensiero, del coraggio, di sorpassare i limiti di specifiche religioni, di non distinguere il centro dal confine, perché nella totalità non vi è questa differenza. Quest’uomo che aveva un sovrappiù di vitalità e voleva che gli altri si svincolassero dai limiti di un Dio parrocchiale, quest’uomo subì la sorte di chi sorpassa la storia della propria epoca e quindi è fuori dalla legalità. Girò l’Europa insegnando, finché un traditore obbediente alla legalità parrocchiale come dicevo, lo denuncia, e Bruno subisce com’era nel tempo, la tortura. Ha brevi pentimenti, brevi cedimenti ma ritrova se stesso e afferma quel che sente.

L’uomo è abitatore del cosmo. Certo appartiene a una singola civiltà ma non dimentichi che è cittadino del cosmo e nel cosmo c’è la natura. Questa natura è la totalità ed essendo la totalità Dio non può trascenderla, sicché o Dio e la natura sono un’unica cosa o Dio non c’è. Ritenne che Dio e la natura fossero un’unica cosa e che l’uomo riconoscendo questa realtà respira il superamento. E preferisce di essere bruciato ma non asservito alla ragnatela che offusca la veduta dello spazio e del tempo e impedisce all’uomo di essere chi deve, chi dovrebbe essere, colui che sente l’infinito.

Aggiornato il 20 maggio 2022 alle ore 15:44