Un'altra manovra è alle porte

Sembra un film già visto: filtrano indiscrezioni, spesso da Bruxelles, secondo cui all'Italia potrebbe servire una nuova manovra per rispettare i suoi impegni di bilancio. Ma Palazzo Chigi smentisce. Il tempo ci dirà se anche stavolta dovremo rassegnarci al solito esito: la manovra alla fine s'ha da fare, ma siccome nell'emergenza il governo si trova impreparato a tagliare la spesa, aumentano le tasse. Questa volta il ruolo da protagonista tocca al governo. «Gli ambiziosi obiettivi di riduzione del deficit dell'Italia potrebbero essere compromessi dalla recessione e dagli alti tassi d'interesse, che richiederebbero ulteriori misure di austerità». È quanto scrive il Financial Times, citando un rapporto della missione di monitoraggio della Commissione Ue sul nostro paese, dal titolo "Budgetary Situation in Italy", inserito al punto tre dell'ordine del giorno all'ultimo vertice dei ministri delle Finanze a Copenhagen. Puntuale la smentita di Palazzo Chigi: nessuna manovra correttiva, ora l'Europa e l'Italia hanno bisogno di riforme strutturali per avviare e consolidare la crescita. «Con l'austerity non si cresce», ha chiosato il ministro dello sviluppo Corrado Passera. In effetti, gli osservatori della Commissione Ue incaricati di valutare i nostri progressi non dicono che l'Italia ha bisogno di una manovra correttiva. Anzi sarebbe «ingiustificata in questa fase», ma che c'è il rischio che si riveli necessaria nei prossimi mesi. Ci avvertono che «lo slancio riformatore dev'essere mantenuto», e che in particolare sulla riforma del lavoro non possiamo permetterci compromessi al ribasso. Nel loro rapporto riconoscono che dal maggio 2010 Roma ha approvato misure di risanamento «chiaramente di rilievo» (100 miliardi di euro, pari al 7% del Pil), che hanno contribuito a ristabilire la fiducia dei mercati e a indirizzare il paese sulla via del pareggio di bilancio nel 2013. Grazie ad un «considerevole avanzo primario» il debito pubblico verrebbe indirizzato su una «traiettoria calante». Tuttavia, si osserva, «gli sforzi dell'Italia per centrare gli obiettivi di bilancio potrebbero essere ostacolati dalla prospettiva della recessione e da tassi di interesse relativamente elevati». Il governo quindi «dovrebbe essere pronto a evitare qualsiasi rallentamento nell'attuazione delle misure di bilancio e a intraprendere ulteriori azioni se necessario».

Il rapporto ci ricorda che il fiscal compact prevede per i paesi indebitati come il nostro uno sforzo colossale per il rientro dal debito. Insomma, le sfide per l'Italia sono solo all'inizio. Per questo suggerisce di procedere con privatizzazioni e dismissioni di immobili di stato per abbattere velocemente lo stock del debito, cosa che il governo Monti si ostina a non prendere nemmeno in considerazione. Dovremo essere in grado di mantenere un avanzo primario «superiore al 5% del Pil nel medio termine», ma è una missione suicida in assenza di crescita, perché dovremmo mantenerlo a colpi di maggiori entrate fiscali che deprimerebbero ancora di più l'economia.

È vero, Monti ha cautamente progettato la manovra di dicembre per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, assumendo come scenario un calo del Pil nel 2012 dell'1%, tassi di interesse ai livelli di fine novembre, e senza quantificare i proventi della lotta all'evasione. Ma l'Ocse prevede un calo del Pil dell'1,6% nel I trimestre e gli aumenti di tasse previsti per quest'anno non hanno ancora dispiegato tutti i loro effetti recessivi. Incorporato l'aumento delle accise, il prezzo dei carburanti è destinato a crescere, mentre il consumo è drasticamente in calo. Le addizionali Irpef si faranno sentire sugli stipendi da marzo in poi e l'Imu comincerà a pesare sui bilanci famigliari a giugno, prima delle vacanze estive, e poi a dicembre, a ridosso delle spese natalizie. Per ottobre è già previsto un ulteriore aumento dell'Iva al 23%. A fronte degli aggravi fiscali sui patrimoni e sui consumi non s'intravede all'orizzonte alcun alleggerimento delle imposte sulle imprese e sul lavoro, come invece era stato promesso. Se le aziende pensano di delocalizzare la loro produzione, lo "spesometro" rischia di inaugurare un nuovo fenomeno, la delocalizzazione dei consumi, specie di lusso. I dati Istat sull'occupazione e il tracollo da incubo delle vendite Fiat sembrano confermare le previsioni più cupe.

In attesa della stima preliminare del Pil nel primo trimestre 2012, che l'Istat diffonderà a metà maggio, si avvicina il momento della verità. Il rischio che corriamo, a causa di una politica di risanamento di tasse anziché tagli alla spesa, è un progressivo avvitamento nella spirale più tasse-recessione-deficit-nuove tasse. Incidendo negativamente sul denominatore del rapporto deficit/Pil il pareggio di bilancio si allontana anziché avvicinarsi: gli aumenti di tasse aggravano la recessione, aprendo nuovi buchi di bilancio, i quali richiedono nuove tasse e così via. Dalla «trappola delle tasse» hanno messo in guardia Alesina e Giavazzi, ricordando che in un paese come l'Italia, con una pressione fiscale vicina al 50%, «ridurre deficit e debito aumentando le imposte è inutile, o addirittura controproducente». Nel ricordare che «non c'è alternativa al consolidamento fiscale», il governatore della Bce Mario Draghi in un'intervista al WSJ aveva avvertito che c'è modo e modo di consolidare i bilanci pubblici: c'è un'austerità "buona", in cui si mantengono le tasse basse e si taglia la spesa pubblica, e una "cattiva", politicamente più facile da attuare, perché si possono ottenere buoni numeri alzando le tasse senza tagliare la spesa corrente, ma deprimendo il potenziale di crescita. Purtroppo è questa seconda la via fin qui seguita anche dal governo Monti, che in totale continuità con i governi tecnici e politici del passato, e in connubio con i vertici della burocrazia statale, difende la spesa pubblica caricando il Paese di tutti gli oneri del risanamento.

Per il rapporto citato dal Ft l'Italia è sotto esame anche sulla riforma del mercato del lavoro. La Commissione Ue è consapevole che la responsabilità di una sua rapida approvazione ora spetta al Parlamento, giudica «molto positivo» il «dialogo costruttivo» con le parti sociali, ma avverte che è «cruciale» che la riforma sia commisurata agli obiettivi e in linea con le raccomandazioni Ue. Il governo Monti rischia invece di trovarsi scavalcato da un compromesso parlamentare al ribasso, o costretto ad un passo indietro dalla rigidità del Pd e dalla scarsa voglia di Pdl e Terzo polo di alzare le barricate.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:22