La Corte dei Conti: «Tagliare le tasse»

Nel rapporto 2012 sul coordinamento della finanza pubblica, presentato ieri in Parlamento, la Corte dei Conti, come fa da anni in ogni sede, è tornata a denunciare gli squilibri recessivi delle politiche fiscali in cui i nostri governi perseverano, pur riconoscendo l'efficacia del contenimento della spesa - tra 2008 e 2011 una vera e propria inversione di rotta rispetto alla spesa allegra degli anni precedenti. Ma la notizia è la pressoché totale continuità, nel male ma anche nel bene, che la Corte ravvisa tra il governo Berlusconi e l'attuale.

La critica fondamentale riguarda il consolidamento fiscale, troppo sbilanciato sul lato delle entrate, da cui vengono reperiti «oltre i due terzi delle maggiori risorse di bilancio». Anche gli interventi correttivi decisi dal nuovo governo nel dicembre scorso confermano «il ricorso prevalente alla leva tributaria per l'intero orizzonte programmatico». Una scelta che ha però una pesante «controindicazione» negli «impulsi recessivi» trasmessi all'economia reale, con il rischio «che un ulteriore rallentamento dell'economia allontani il conseguimento degli obiettivi di gettito», quindi di bilancio, e che ciò richieda nuove e ancor più recessive correzioni. La Corte mette dunque in guardia dal «pericolo di un avvitamento» ed invita a «disinnescare il circolo vizioso». Per reperire il «gettito mancante», avvertono in sostanza i magistrati contabili, non si può più agire sul lato delle entrate, né volontarie né tributarie, essendo la pressione fiscale ormai ad un livello insopportabile, ma bisogna ampliare la base imponibile, incidendo sui fattori che bloccano la crescita.

E uno dei fattori che blocca la crescita è il nostro sistema fiscale, ancora lontanissimo dal «benchmark europeo». Non c'è stato, infatti, lo spostamento del carico fiscale "dalle persone alle cose" che era stato promesso sia dal governo Berlusconi che da Monti: «L'aumento impositivo che ha investito consumi e patrimoni - registra la Corte - si è tradotto in una riduzione molto limitata del prelievo sui redditi da lavoro e d'impresa». Si è ridotto il gap in negativo con l'Europa elevando l'imposizione sui consumi e sui patrimoni, senza però «intaccare il differenziale in eccesso nella pressione fiscale complessiva, in generale, e nella tassazione dei redditi da lavoro e di impresa, in particolare». Servirebbero, per alleggerire il carico fiscale su lavoro e impresa avvicinandolo alla media europea, 50 miliardi di euro. Ma con gli aumenti recenti, e quelli già previsti, delle aliquote Iva (tra l'altro «gravidi di controindicazioni sul piano economico e sociale») sono esauriti anche i margini del prelievo sui consumi. Dove reperirli, dunque?

Certamente proseguendo nella lotta all'evasione fiscale, una «piaga pesante». La Corte stima al 29,3% l'evasione dell'Iva e al 19,4% dell'Irap, per un mancato gettito di oltre 46 miliardi l'anno, con il Sud che evade circa il doppio del Nord. Ma secondo la Corte «l'opzione di fondo da perseguire non può non essere quella di una consistente riduzione della spesa corrente - sia primaria che per interessi sul debito». Da ottenere non solo attraverso la «reingegnerizzazione dei processi amministrativi» e «il ridisegno organizzativo delle amministrazioni pubbliche», ma anche anticipando «l'adozione dei costi standard» nell'ambito del federalismo fiscale e procedendo ad una «ridelimitazione dei confini del pubblico». Oltre 5 mila gli «organismi partecipati» nei 7.200 enti locali censiti, che in gran parte operano nelle "local utilities" e in affidamento diretto, e ai quali è «riferibile un indebitamento consistente (quasi 34 miliardi), in crescita nell'ultimo triennio di oltre l'11%». Ciò dimostra quanto «la revisione del perimetro dell'intervento pubblico sia necessaria, non solo ai fini di riduzione della spesa, ma anche a quelli di efficientamento dell'azione pubblica».

In poche parole la Corte dei Conti suggerisce di tagliare la spesa corrente di 50 miliardi - altro che i 4-5 previsti dalla spending review! - e di usarli per tagliare le tasse su lavoro e impresa. Insiste, inoltre, per «un abbattimento significativo del debito, attraverso la dismissione di quote importanti del patrimonio mobiliare ed immobiliare in mano pubblica», ricordando di aver più volte sottolineato le carenze, sul fronte dismissioni, «nell'identificare dimensioni, condizioni e responsabilità realizzative».

La Corte riconosce al governo precedente «l'efficacia delle misure di contenimento delle spese, che nei fatti si rivelano più stringenti di quanto sembri essere percepito dall'opinione pubblica nazionale e, soprattutto, internazionale». Le riduzioni sono state persino «superiori alle attese». Nel 2011 si sono «cumulati gli effetti dei robusti tagli delle spese dei ministeri» disposti tra 2008 e 2011, i tanto vituperati tagli "lineari". Al netto degli interessi e dei trasferimenti alle amministrazioni locali, le spese statali risultano diminuite, nel biennio 2010-2011, di circa il 6%, una «netta inversione di tendenza rispetto all'intero arco degli anni 2000, durante il quale la spesa primaria dello Stato era aumentata ad un tasso medio annuale di circa il 6%. «Uno sforzo di contenimento di grande rilievo, anche se del tutto sbilanciato nella composizione», rimprovera la Corte: «Ad una riduzione di meno del 3% delle spese primarie correnti fa riscontro una caduta delle spese in conto capitale del 26%, con un taglio dei contributi alle imprese nel biennio 2010-11 nettamente superiore al 50%». Efficaci, in particolare, «le numerose misure di controllo della dinamica retributiva e di razionalizzazione e riorganizzazione degli organici», così come «la stretta impressa agli acquisti di beni e servizi dei ministeri». Positivo anche il contributo degli enti territoriali e, per la prima volta, del settore sanitario, che però, osserva la Corte, «continua a presentare fenomeni di inappropriatezza organizzativa e gestionale» e di «malaffare». «Personalmente credo poco all'aumento delle pene», ha commentato il presidente Giampaolino sulla corruzione, individuando piuttosto nei «rimedi organizzativi» la strada da seguire. Nessuno dei settori della spesa pubblica dovrebbe essere immune da revisione.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:42