Il ponte di Messina non   lo vuole il Nord-Europa

L’ipotesi di capitali privati al 100 per cento per il Ponte di Messina ha lasciato i benaltristi e i “No Ponte” senza l’acqua nella quale, di solito, nuotano bene. Si erano già fiondati anche sulla notizia data, frettolosamente, da “La Repubblica” e da Sinistra Ecologia Libertà, di un rifinanziamento dello Stretto di Messina di 1,3 miliardi, per blaterare che c’era “benaltro” da fare sul territorio a cominciare dalla difesa idrogeologica. E lo hanno fatto sfidando il ridicolo poiché l’ipotetico rifinanziamento corrispondeva alla penale, spettante in ogni caso all’Eurolink, che invece d’essere “bruciata” avrebbe potuto far ripartire il progetto ponte. Usare quei soldi per altro scopo significava ripristinare il diritto dei vincitori della gara d’appalto ad avere il risarcimento previsto dalle leggi in uno stato di diritto.

Con il reperimento dei fondi sul mercato internazionale dei capitali la solfa del “benaltro” finisce perché i privati non ti danno i soldi per farne ciò che vuoi ma solo per un preciso obiettivo che nel caso specifico significa “Ponte sullo Stretto di Messina”. Che il “benaltro”, comunque, sia un argomento strumentale per la propaganda spicciola si è reso evidente nell’ennesimo incontro a Messina svoltosi recentemente su un tema accattivante “Uno sguardo dal Ponte” accompagnato, però, da una domanda provocatoria come “Ma c’è ancora qualcuno che ci crede?”.

Insomma si vuol far passare l’idea che siano in pochi a crederci veramente, idea volta a rafforzare così la menzogna che a volere il Ponte sia solo una sparuta minoranza (vecchio meccanismo per trasformare una bugia in verità assoluta). In realtà, nel dibattito tra il si e il no al ponte, quasi tutti i presenti ammisero, ad alta voce, l’importanza decisiva, per il Sud e per l’Italia, dell’infrastruttura pontista, mentre a sostenere le ragioni del no è rimasto solo uno dei relatori e qualche altro.

Col “project finance” al 100 per cento comunque si risolve il problema del finanziamento del ponte vero e proprio ma rimane aperto il problema del finanziamento delle, impropriamente dette, opere di compensazione a terra che sono invece necessarie all’amalgama del ponte col territorio che lo accoglie. In questa direzione, ci soccorre il professor Francesco Forte che, qualche settimana fa, lanciava l’idea del credito d’imposta. Ipotesi più che intelligente che ci permettiamo di fare nostra specificandone chiaramente fini ed obiettivi. Si tratterebbe di chiedere al Salini Impregilo, capofila della cordata aggiudicataria dell’appalto, di farsi carico del finanziamento di dette opere trasformandone il costo in crediti d’imposta.

A quanti poi, pur professando una scelta di campo per il si al ponte, pensano di poter sfruttare il vento sfavorevole per rilanciare ipotesi costruttive già sottoposte al vaglio tecnico di organismi italiani, va ricordato che, nel 1969, al “Concorso Internazionale di idee per il collegamento stabile viario e ferroviario tra la Sicilia e il Continente” parteciparono ben 143 progetti e ben 6 vinsero ex aequo il primo premio. Tra essi uno solo prevedeva il tunnel sottomarino mentre gli altri 5 erano progetti di ponti sospesi, ad una o più campate. Il progetto definitivo è datato 1992, ma la scelta finale è datata all’anno 2000 quando gli advisor (Steinman Int. – Gruppo Parson e Price Waterhouse Coopers), nominati dal Cipe, presieduto da Massimo D’Alema, consegnano i rapporti finali ritenendo il progetto del ponte, a campata unica, il più vantaggioso rispetto a qualsiasi altro scenario alternativo e riconoscendone la fattibilità economica, finanziaria, trasportistica ed ambientale.

C’è da chiedersi, comunque, il motivo della cancellazione operata dal governo Monti poiché affiora il sospetto di un “compito a casa” sotto dettatura di Paesi europei interessati a non “disturbare” i grandi porti del Nord Europa (Anversa, Rotterdam e Amburgo), indizio comunque di alto tradimento degli interessi del nostro Paese. Le motivazioni? Evitare impegni gravosi per l’erario. Ma con il “project finance” al 100 per cento e la proposta del credito d’imposta riconosciuto al “general contractor” in cambio della realizzazione delle opere a terra, decade immediatamente questo alibi che si sbandiera solo quando si tratta di opere da fare nel Sud dimenticando che la stessa Italia ne guadagnerebbe sia sul piano economico che in termini di immagine.

Risultati certamente più importanti degli 80 euro distribuiti come mancia elettorale e che non hanno avuto alcun impatto sull’economia. Ben altra musica si leva con l’attivazione dell’indotto necessario alla realizzazione del ponte, con i ricavi delle aree energetica, turistico-commerciale e socio-politica che rendono la straordinaria infrastruttura auto-sostenibile “ab initio”, e soprattutto con la resa economica del transito ferroviario e gommato. Ma Calabria e Sicilia vanno addirittura in concerto se si attiva l’alta velocità a Sud della Campania, se si intercetta il traffico merci che transita nel Mediterraneo pari al 30 per cento del traffico mondiale, se si rilancia il sistema portuale meridionale - e non solo - a partire da Agusta, Gioia Tauro e Pozzallo, se in definitiva il Mezzogiorno supera il gap col resto del Paese con ciò aiutando lo stesso Paese a risollevarsi, mentre ora il Sud ne è fuori (Svimez, 2014).

Scenari impensabili che il Nord Europa non vuole e che trova nel nostro Paese ciechi alleati dimentichi che senza misure straordinarie di investimenti e di rinascita la crisi rischia di diventare cronica. Atteso che lo Stato è incapace oggi d’investire grosse somme di denaro e che addirittura non appare avere un buon programma di azione per il rilancio del Mezzogiorno, il ruolo dell’investimento privato sembra essere la vera soluzione alle difficoltà occupazionali e di rilancio economico. Ma è necessario anche il coraggio di opporsi all’Europa del Nord.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:17