Defiscalizzare   per crescere

L’Italia deve abbandonare al più presto l'ideologia anti impresa che deprime gli investimenti e ogni possibilità di sviluppo. L’idea che i privati siano evasori, le imprese simil associazioni a delinquere, le partite iva l’anticamera di condotte truffaldine e le tasse “belle”, come le definiva Tommaso Padoa Schioppa sbagliando, appartiene a una sinistra sinistra (una sinistra che è sinistra) e che vede tra le proprie fila parassiti dello Stato, cioè politici alla Vincenzo Visco o il più in auge Stefano Fassina, magistratura alla Francesco Greco, giornali di sinistra come ad esempio Repubblica, enti pubblici tassatori e riscossori tutti come l’ex Equitalia e l’attuale Agenzia delle entrate di Rossella Orlandi, non a caso allieva di Visco. Bisogna sia chiaro ciò che è evidente, e cioè che perseguitare i contribuenti che producono mina ogni possibilità di crescita e di sviluppo in Italia.

Da chi prenderanno i soldi questi impiegati e dipendenti tutti dello Stato italiano se si continua a vessare al limite della frode chi produce o meglio tenta di produrre? Da chi pensano di trarre ciò che li mantiene e sfama se torturano con tasse zavorra, cioè al di sopra di ogni limite possibilmente immaginabile e tollerabile? Quanto pensano possa durare prima che li si affami perché l’animale da soma, il Paese, gli imprenditori e tutta la libera professione stramazzi? Cosa e come mangeranno, dato che si nutrono e vivono attaccati come patelle al medesimo “mulo”, cioè allo Stato?

Ecco cosa dicono alcune recenti sentenze della nostra Corte di Cassazione che, a forza di normofilachia (che vuol dire che inventa il diritto di sana pianta, come le pare), ha dato vita negli anni addirittura a un intero corpo di norme, divenuto lo specchio di una burocrazia rintronata. Cassazione, magistratura in generale, agenzie delle entrate, sinistra tutta, anche quella di Renzi, ci danno dentro per affondare il nostro Paese e le forze che, ancora sane, non stremate, non annientate o nei fatti assassinate e morte, producono e cercano di creare ricchezza.

Produzione è ricchezza e benessere. Vivere appannaggio di Pantalone (lo Stato) è miseria vera quando Pantalone (lo Stato) schiatta. Ecco come la nostra Cassazione, seguìta pedissequamente da Agenzia delle entrate e Guardia di finanza, picchia duro su imprese e partite iva, sostenendo ufficialmente di combattere con ogni mezzo l'evasione fiscale. Se un imprenditore dimostra di non avere più un euro perché non ha ricevuto i pagamenti (spesso proprio dallo Stato) o perché ha dovuto scegliere tragicamente tra dare lo stipendio ai propri dipendenti e la contribuzione privilegiando a ragione i primi, e così facendo non ha versato i contributi entro i sessanta giorni previsti per una cifra annuale superiore a cinquantamila euro, lo aspetta la galera.

La recente sentenza n. 52038 di dicembre 2014 ha infatti confermato ciò che è tuttora, e cioè che, nel caso di omesso versamento delle ritenute certificate, la crisi dell'impresa non scrimina il reato. In pratica, se c’è la crisi sono affari tuoi e ti attacchi, devi pagare tutto per forza, pena la reclusione nelle patrie galere. Specifica la pronuncia che “a tal fine, né l'aver ritenuto di privilegiare il pagamento delle retribuzioni dei dipendenti né l'aver dovuto pagare i debiti ai fornitori e neppure la mancata riscossione di crediti vantati e documentati sono situazioni - anche se provate - idonee a integrare lo stato di necessità e, dunque, a escludere il dolo”. Una follia.

L’Agenzia delle entrate va ancora più in là, in maniera – se possibile – ancora più vessatoria, avendo sostenuto che sono rari i casi in cui la crisi di liquidità scrimina il reato e che quindi sia punibile per evasione fiscale ogni imprenditore nonostante il mancato versamento dipenda da uno choc finanziario dell'azienda. Chi sostiene questo, non solo non ha capito come e perché mangia o dà da mangiare alla propria famiglia, ma andrebbe mandato a cercare di inventarsi qualcosa in proprio per produrre, e poi venire tassato con cotanto cieco rigore, su ciò che riesce a creare. Prima, in pratica, dovrà pagare lo Stato, e, solo dopo, dipendenti e fornitori.

Il fatto è che i pubblici dipendenti non producono niente nel e per il Paese, e da tempo, impegnati ad ammalarsi e a farsi certificare malattia, non fanno neanche il lavoro per cui a fine mese ricevono lo stipendio sicuro pagato con le nostre tasse, quelle di chi produce,cioè imprenditori e professionisti autonomi. Il governo Renzi è in linea con il passato, continuando a immettere scelleratamente nella pubblica amministrazione. Depenalizzare? La sinistra si oppone, in attesa dell’assassinio tutto di ogni attività produttiva in Italia. Defiscalizzare? Meno che mai. La sinistra considera ladri ed evasori gli autonomi, forse perché vedono cosa devono rubare loro per ricevere anche solo l’obolo che è gratis e dello Stato. Ed ecco qui perché, in questi giorni, mentre scoppiano bombe e attacchi terroristici nel mondo, i manettari pubblici del nostro Stato depredato fendono colpi su colpi, perché il loro governo imbroglione di sinistra di Renzi mantenga le cose come stanno e non si azzardi a defiscalizzare e depenalizzare.

Dagli all’impresa! Con un'ordinanza di novembre 2014 la Corte di Cassazione ha infatti financo rintuzzato ciò che è previsto quando la guardia di finanza si presenta in un’ azienda; è previsto infatti che non possa bloccare l’impresa più di trenta giorni in base articolo 12 dello statuto del contribuente. La Corte ha invece deciso che il termine è adesso ordinatorio e non perentorio, che significa che in pratica i controllori agenti delle entrate potranno rimanere quanto vogliono all’interno e a bloccare le imprese, dato che i termini sono stati resi ordinatori cioè non definiti e circoscritti. E’ uno Stato questo? Agli imprenditori sopravvissuti in Italia, sta bene? Noi partite iva ci sentiamo alquanto turlupinati e non vediamo l’ora che cambi l’aria politica, istituzionale, e sociale. Altro che controlli e sanzioni a fronte di mega esosa tassazione, alla fine pure inutile visto che i servizi sono pessimi. Bisogna restituire il Paese al mercato. E’ l’unico modo per cambiare verso. C’è infatti un verso e un’intera direzione da rivedere, quelli dell’Italia. Non a parole, nei fatti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:20