Un’unione fiscale   per l’Europa

Perché è grave che Jean-Claude Juncker, attuale e contestato presidente della Commissione europea, abbia a lungo fatto siglare al Lussemburgo accordi fiscali vantaggiosi e “fuori mercato”, cioè diversi e più convenienti di quelli di ogni altro Paese dell’Unione europea?

Perché, rendendo più conveniente il regime fiscale del proprio Paese, gli altri, tutti gli altri Paesi membri dell’Unione ne sono stati svantaggiati, penalizzati, non hanno visto cioè lo stesso business, perché ligi nell’applicazione di regimi fiscali più onerosi e fiscalmente meno convenienti. In pratica tutto ciò che ha guadagnato il Lussemburgo grazie al suo quindicinale primo ministro Juncker è stato a detrimento e a svantaggio degli altri Paesi, tra cui l’Italia. E ciò è tanto più grave in quanto posto in essere da colui che più degli altri conosceva le regole europee ed era tenuto a rispettarle.

Le agevolazioni concesse dal Lussemburgo sono tuttora all’attenzione della Commissione europea con richiesta del suo presidente, cioè lo stesso Juncker, al “suo” Lussemburgo perchè fornisca maggiori informazioni (sic). Si ricordi che, ad oggi, l’evasione, l’elusione e l’abuso del diritto sono fattispecie punite con sanzioni sia amministrative che penali, e che la giurisprudenza di legittimità tende a pronunciarsi in maniera sempre più inflittiva contro di esse. Scegliere un sistema fiscale più conveniente da parte di un’impresa in Europa costituisce fattispecie illecita e come tale è perseguita per legge.

Cosa fare? Unire i regimi fiscali per un’Unione effettiva europea dei Paesi europei. E’ necessario cioè unificare il mercato tributario fiscale e stabilire un unico livello di tassazione perché solo in presenza di un siffatto livellamento il mercato europeo diviene omogeneo e attrattivo rispetto alle altre realtà mondiali. In Europa esistono differenti regimi fiscali e tributari che ostacolano e impediscono il mercato comune europeo, favorendo uno shopping fiscal/tributario considerato e punito quale fattispecie illecita.

La mancanza dell’armonizzazione e del coordinamento delle regole della tassazione tra i Paesi europei crea significative distorsioni della concorrenza, evidenti fenomeni turbativi del mercato e un’allocazione disomogenea delle risorse. Ciascuno Stato si è dimostrato sino ad oggi geloso della propria fiscalità e tassazione, le imposte sul reddito ne sono il chiaro esempio. Nessuno Stato è stato sinora a favore della perdita di qualsivoglia controllo sulla propria fiscalità. Armonizzare le imposte sul reddito significa infatti allineare i vari Stati europei, non solo nelle aliquote fiscali ma anche nella base imponibile e nelle modalità con cui si determina.

Il perché gli Stati membri non “mollino” la presa su fiscalità e tassazione è evidente, e cioè perché rinunciare al controllo dell’imposizione diretta vuole dire perdere la fonte principale di entrata e il venire meno dello strumento-principe di politica macroeconomica in capo ai governi, stante anche che la politica monetaria è accentrata e su quella fiscale incombe l’illegittimo Patto di crescita e di stabilità. L’assenza di regole comuni europee relative alle imposizioni e alla loro misura consentono e incentivano fenomeni migratori verso Paesi in cui l’incidenza della fiscalità è inferiore o in cui, a parità di imposizione, il rapporto con l’amministrazione finanziaria è più leggero, certo, snello, civile.

E’ necessario quindi prevedere una Direttiva europea finalizzata a creare un’unione fiscale a contrasto dell’elusione, erosione della base imponibile e trasferimento dei profitti nei Paesi fiscalmente più convenienti. Oggi il mercato è globale, dunque con l’armonizzazione e unione fiscale comune europea è necessario tenere conto soprattutto della competitività fiscale dell’Europa rispetto al mondo intero. Se si fisserà un’imposizione fiscale alta, è evidente che i capitali si dirigeranno verso Paesi altri rispetto a quelli europei; essi andranno negli Stati Uniti, in Australia, eccetera.

Il mondo è anche divenuto virtuale e telematico, consentendo la dematerializzazione, la delocalizzazione ed il venire meno delle barriere spaziali, spesso anche di quelle giuridiche e fisiche – nazionali e internazionali – dunque bisogna tenere conto anche di tale fattore della virtualità e “liquidità” nella nuova imposizione fiscale europea, stipulando accordi tra Stati del mondo al fine di evitare distorsioni globali. Il coordinamento e l’armonizzazione fiscale elimineranno la concorrenza fiscale dannosa e le discriminazioni tra Stati europei, ponendo i cittadini europei nelle medesime condizioni e rendendoli parte di un mercato unico finanziario-economico europeo globalizzato.

Con un’unione fiscale comune europea, si potranno anche amplificare gli effetti delle politiche espansive monetarie messe in atto, con aumento del disavanzo fiscale degli Stati, ad esempio a potenziamento dell’attuale operazione Quantitative easing da parte della Banca centrale europea.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:24