Il dividendo Draghi non è infinito

Come mi trovo a scrivere da tempo, in un profondo senso di isolamento, la linea corretta per tentare di rimettere in carreggiata il nostro Paese deve necessariamente passare per una pur graduale riduzione della spesa pubblica. Riduzione la quale, con tutti i limiti imposti dal sistema democratico, non può prescindere da una ridefinizione delle prestazioni complessivamente offerte dallo Stato. Ciò in soldoni dovrebbe prioritariamente prevedere tagli strutturali nei principali capitoli di spesa: previdenza, sanità e pubblico impiego. Soprattutto dal lato delle pensioni, di gran lunga il settore più oneroso e senza paragoni nel mondo avanzato, occorrerebbe proseguire nella impopolare ma imprescindibile politica introdotta con la tanto bistrattata Legge Fornero. Tanto è vero che, tendenze alla mano, alla fine del Governo Monti il sottosegretario Gianfranco Polillo, nel corso di una lunga intervista televisiva, dichiarò che si sarebbe dovuti nuovamente intervenire con una nuova stretta al fine di evitare il collasso a regime dell’Inps.

Ovviamente, il cosiddetto Quantitative easing di Mario Draghi ancora non si profilava all’orizzonte e, per questo, l’ancora elevato spread sui nostri tassi d’interesse rendeva molto cauti i tecnici al timone del Paese sul piano dei conti pubblici. Cautela la quale, proprio in virtù della vera e propria sterilizzazione dei medesimi tassi operata dalla Banca centrale europea, è stata completamente abbandonata dal signorino soddisfatto che alberga in quel di Palazzo Chigi. Un Matteo Renzi che, profittando in modo del tutto irresponsabile di una flessibilità che prima o poi pagheremo a carissimo prezzo, sta letteralmente mandando in soffitta la citata Legge Fornero sulle pensioni; ossia l’unico straccio di riforma strutturale che il sistema democratico è riuscito a partorire negli ultimi decenni.

Perché se non è ancora chiaro, dato che la matematica non è un’opinione, le uniche riforme strutturali di cui ha bisogno l’Italia sono quelle che riducono sensibilmente i costi che lo Stato esercita in maniera soffocante sull’economia, consentendo così di alleggerire le proibitive aliquote fiscali e contributive che gravano sui ceti produttivi. Con una spesa previdenziale che, proprio a causa delle misure elettoralistiche messe in cantiere dall’Esecutivo dei miracoli, raggiungerà molto presto la stratosferica cifra di 300 miliardi di euro, hai voglia a produrre chiacchiere sui chimerici tagli del cuneo fiscale sbandierati dai cantastorie di regime. Continuando a mandare in pensione anticipata battaglioni di presunti elettori della propria area politica, ben presto raggiungeremo un catastrofico rapporto occupati/pensionati 1 a 1, condannando i giovani lavoratori di oggi a svenarsi per finanziare un regime previdenziale fallimentare e con la prospettiva di ottenere, bene che vada, vitalizi da fame.

Ecco un’altra ragione indiretta per boicottare un referendum costituzionale finanziato a caro prezzo coi sacrifici delle future generazioni.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:29