Gli italiani hanno smesso di lavorare per lo Stato da meno di un mese. Il tax freedom day del 2018 è caduto il 3 giugno, una settimana dopo la media dell'Eurozona. Per quasi metà dell'anno lavoriamo per lo Stato e ogni centesimo che guadagniamo lo conferiamo in imposte. Solo da giugno in poi i nostri stipendi, compensi, utili possono essere usati per le nostre esigenze e quelle delle nostre famiglie.

Negli ultimi anni le leggi italiane acquisiscono epiteti salvifici: dal cresci Italia al decreto dignità, è tutto un fiorire di “misure a sostegno” e “interventi per il rilancio”. Si fa fatica a comprendere come possa esserci, però, dignità e crescita, in un paese in cui persone e imprese sono private della metà dei frutti del loro impegno.

La comparazione con gli altri paesi dell'Eurozona, si è detto, rivela che siamo sopra la media. Forse anche questo spiega perché facciamo così fatica, rispetto agli altri, ad uscire dalla crisi economica. In un paese dove si viene tassati per la metà del tempo in cui si lavora, non è facile usare quanto si è guadagnato per consumare e investire, e quindi crescere.
Sarebbe il tempo, prima che sia troppo tardi, che alla generosa mente di chi governa venga l'idea di tentare l'unico “salva-Italia” che ancora non è stato sperimentato: un “decreto libertà”, che abbia l'obiettivo di una seria e complessiva riduzione della pressione fiscale, anche solo per allinearla alla media dell'Eurozona. Perché non si dà dignità senza libertà: contrariamente a quanti pensano che invece la dignità si fondi sui vincoli, sulle restrizioni e sulle proibizioni.

 

Aggiornato il 03 luglio 2018 alle ore 12:53