Quali competenze per un governo di salvataggio

Cominciano a circolare voci sul Quirinale che sarebbe alla ricerca di nomi per una compagine di Governo eventualmente per rimpiazzare un possibile fallimento di quello guidato da Giuseppe Conte. Prima di procedere col solito vizio italiano di giudicare a simpatia, a ghiribizzo, ad appartenenza partitica, converrebbe, almeno davanti a questa tragedia, elaborare piuttosto dei giudizi basati sui dati e, se proprio si deve trattare anche di politici, collegarli almeno al ruolo da essi avuto nell’andamento franoso del nostro Pil. Ad esempio partendo dalla chiarissima, terribile tabella.

Vediamo che in questi ultimi 17 anni le uniche frenate della frana, nelle quali cioè abbiamo perso annualmente meno di un punto di Pil rispetto alla media europea, sono solo due: nel biennio fra il 2009 ed il 2011, ed in quello fra il 2014 ed il 2016. Del primo biennio abbiamo già visto ampiamente nei tre articoli su questo stesso quotidiano. Non per questo dobbiamo promuovere automaticamente i politici che governavano in quel biennio, o viceversa per gli assenti. Ad esempio è molto positivo che l’articolo di Porro includa fra i papabili Pier Ferdinando Casini, che in quel governo non c’era, stava all’opposizione, però del nucleare Casini ha sempre riconosciuto la rilevanza per i successi economici italiani prima della sua perdita, ed il danno ad essa successivo.

D’altra parte in quel governo c’era Giorgia Meloni, ministra per la Gioventù, comprensibilmente inclusa anche nella prossima compagine da Porro; ma è difficile perdonarle quella frase in tivù: “Noi non abbiamo problemi di competitività con la Francia, li abbiamo con la Cina perché ha stipendi più bassi”. In quel periodo la Francia, grazie alla cinquantina di centrali nucleari costruite fra il 1975 ed il 1985, ed il costo del suo chilowattora a 6 cent contro il nostro a 29, era balzata in testa a tutto il mondo nel risucchiarci le nostre delocalizzazioni, secondo il loro censimento fatto dalla Cgia di Mestre: chi stava al governo avrebbe dovuto tenerne conto.

Piuttosto, passando alla seconda frenata, meriterebbe di presenziare nella lista dei candidati al nostro salvataggio Federica Guidi, già ministra allo Sviluppo Economico del governo guidato da Matteo Renzi, che fu fatta dimettere a causa di un processo intentato contro il suo compagno, che ora è stato archiviato per inconsistenza dell’accusa. Sarebbe anche il caso di ingiungere a “Il fatto quotidiano”, di spostare questa ultima notizia, dalla unica pagina interna in cui l’ha relegata, alle prime pagine in cui ha sbandierato a lungo l’accusa, sino ad ottenere quelle ingiuste dimissioni. Causate evidentemente dal fatto che la Guidi i fondamentali dell’economia li capisce, e li dice giusti, anche al futuro, come doveroso.

Nel talk-show di Bruno Vespa una sera ha previsto già da allora che, se davvero la Germania nel 2023 abbandonerà il nucleare come abbiamo fatto noi, finirà esattamente come siamo finiti noi. Se noi siamo l’unico Paese manifatturiero ad aver fatto quella scelta sciagurata, anche una Germania denuclearizzata non potrebbe scampare dal fare la nostra stessa fine. Ed infatti, mentre noi siamo già diventati gli ultimi dell’Eurozona, la Germania è ormai la penultima, subito sopra di noi, con la sua industria che crolla proporzionalmente al progressivo spegnimento del suo nucleare. Il favore verso il quale cresce proporzionalmente a quel calo, nei voti e nei sondaggi tedeschi. Ma noi italiani, quando ci decideremo a capirlo, ed ammetterlo? Che, in effetti, il Pil italiano quando era sostenuto dal nucleare è cresciuto più di quello medio dei Paesi fondatori dell’euro negli anni ‘60 (+5,7 per cento contro 5,3 per cento) e negli anni ‘70 (+3,8 per cento contro +3,4 per cento).

Siamo stati raggiunti negli anni ‘80 (quando sia l’Italia che la zona euro crescevano egualmente del 2,4 per cento all’anno) perché già nel 1982 la centrale del Garigliano venne dismessa, senza poter ancora esser sostituita da quella in costruzione a Montalto di Castro, poi abbandonata poco prima della sua inaugurazione, per la truffa del referendum del 1987. Ma la sopravvivenza delle altre vecchie centrali per una parte di quel decennio bastò a farci mantenere una crescita del Pil eguale a quella media europea. Invece negli anni ‘90, dopo il loro spegnimento generale, il Pil italiano è cresciuto solo più dell’1,7 per cento all’anno contro il 2,2 per cento medio della zona euro. Cioè ci siamo fatti distaccare di 5 punti in quei dieci anni da noi de-nuclearizzati. Nel primo decennio degli anni 2000 l’Italia ha segnato solo +0,3 per cento contro +1,1 per cento, cioè abbiamo perso altri 8 punti.

Se poi guardiamo agli ultimi sette anni, l’Italia ha una media di crescita zero contro il +0,9 per cento del resto dell’area euro, cioè siamo scaduti di 6,3 punti in 7 anni. Comunque, il movente per gli attacchi giudiziari che hanno escluso dal governo l’ottima Guidi può aver generato chissà quanta parte di quelli che hanno fatto cadere alla fine Silvio Berlusconi; che quindi fa qui una buona ricomparsa, insieme a Matteo Salvini, che in Sardegna esclamò “Basta col no al nucleare!”. E a Renzi che, oltre al merito di aver promosso la Guidi al Mise, ha anche quello di aver posto la propria candidatura al governo proponendo, la sera prima in tivù, un foglio Excel con i costi dell’energia.

Non va invece affatto bene, fra questi nomi, quello di Nicola Zingaretti, perché la Regione che presiede tollera la generazione di elettricità dal carbone di Civitavecchia; mentre è prevedibile che la riduzione di fruibilità dei (già carenti) trasporti pubblici locali per distanziamento comporterà l’ulteriore dilagare dei 3 milioni di pendolari su Roma a 4-6 milioni, è anche prevedibile che questo tsunami verrà forzato a convertirsi ad elettrico, semplicemente condizionando l’accesso al centro appunto alla elettrificazione: bisognerà porsi il problema della sua generazione, che non potrà più essere a carbone, oltre che per le ragioni attuali, già spaventose, anche perché quelle Pm 2,5 sono un micidiale veicolo per le goccioline al Covid-19. E Zingaretti, a differenza di Guidi, non è pronto a proporre l’attracco nel porto di Civitavecchia di una chiatta Akademik Lomonosov, dotata di Smr, Small Modular Reactor(s), economicamente affittabile come alternativa al carbone.

Molto opportune comunque, fra quelle che ora paiono esaminate da Mattarella, sono le candidature dei presidenti emeriti della Corte Costituzionale, sia Sabino Cassese che Giovanni Maria Flick, ambedue essendo fra quelli che abbiamo accuratamente consultato prima di pubblicare il primo dei tre articoli succitati, sulla truffa dei due referendum erroneamente ritenuti antinucleari: dai nostri media, non dalla nostra Corte Costituzionale. Se anche solo questi nomi, dei tanti altri utili, entrassero nel nuovo governo, sarebbe possibile ridiventare attrattivi degli investimenti dei privati nella nostra economia reale. Gli investimenti pubblici non potranno più supplire alla fuga di quelli privati, soprattutto dopo la recentissima sentenza della Corte Costituzionale tedesca, che in pratica vieta ai soldi tedeschi di contribuire al Quantitative easing, cioè all’acquisto massiccio da parte della Bce dei titoli che l’Italia ha bisogno di mettere periodicamente sul mercato: quella pacchia, se pure riuscivamo a considerarla tale noi italiani, è finita.

(*) Consigliere Associazione Astri

Aggiornato il 14 maggio 2020 alle ore 21:24