Le società di recupero crediti sono ancora “fuorilegge”

L’attenuazione dell’aspetto più difficile per i cittadini non è mai entrata nei Dpcm

Nei vari atti del Governo dovuti al Covid-19 chiusure e restrizioni hanno toccato un po’ tutti ma non c’è mai stata una moratoria, anche blanda, per le situazioni di grave indebitamento diffuse tra i cittadini italiani. Tanto per essere chiari, il vocabolario Treccani definisce “moratoria” come termine indicante la “sospensione della scadenza delle obbligazioni in genere, e specialmente di quelle pecuniarie, disposta con provvedimento legislativo, in via eccezionale e con riferimento a eventi straordinari tali da turbare il normale svolgimento dei rapporti economici e sociali”. Alla luce, o meglio, al buio delle violente contestazioni dei giorni scorsi non sembra che i rapporti economici e sociali possano essere definiti normali. Le difficoltà economiche sono dominanti, sia a livello imprenditoriale che privato. Va detto che è una strana povertà quella degli italiani, figlia o nipote delle cambiali degli anni Sessanta, e generata dal sistema diffuso come un virus dell’acquisto di vacanze, televisori, telefonini, dove addirittura l’acquisto di un’auto costa meno scegliendo un finanziamento, piuttosto che pagandola in contanti. Per non parlare poi delle carte di credito che, nell’anticipo contante, hanno interessi importanti.

Lo Stato ha congelato le cartelle esattoriali, ha posticipato i pagamenti previsti in questo periodo e i pignoramenti, ha fatto in modo che molte spese diventassero crediti di imposta esigibili a breve termine mentre l’opera a volte logorante del sistema delle finanziarie e di quelle del recupero crediti continua indisturbata e inesorabile la sua marcia. Eppure, si tratta di aggravi di costi che a pochi giorni dalla scadenza di una rata raggiungono circa il 20 per cento del dovuto e potrebbe portare a diventare un cattivo pagatore. I decreti di primavera hanno previsto la possibilità di una sospensione delle rate anche nei confronti degli istituti di credito, esclusivamente su richiesta del debitore che può comunque non essere accettata, senza iscrizioni nelle centrali di rischio ma troppi rapporti ne sono rimasti fuori e produrranno effetti disastrosi già nei prossimi mesi. Ci sarà molto, moltissimo lavoro in questo settore e, a leggere la situazione in questo modo, quello che nel giugno 2018 si era proposto al momento dell’incarico di premier italiano – ovvero Giuseppe Conte – come l’avvocato del popolo sembra rivelarsi l’avvocato degli avvocati.

Le aziende di recupero crediti registrate nel 2019 erano 1541, spesso con sedi operative di solito in piccoli centri come Vibo Valentia, Grosseto o Spoleto. La regione dove sono attive in maggior numero è il Lazio. Le società di recupero crediti sono intermediarie e possono rintracciare il debitore per telefono o per mail mentre non possono contattare “ingiustificatamente” parenti o colleghi di lavoro informando dell'inadempienza; non possono chiamare ripetutamente e nemmeno ipotizzare conseguenze irreali in caso di mancato pagamento. Le norme da conoscere in queste attività sono sicuramente il Codice del consumo (www.codicedelconsumo.it) o anche sul sito del ministero per lo Sviluppo economico con aggiornamenti, il nuovo Regolamento europeo 2016/679 in materia di tutela della privacy e la legge 3/2012 sul sovraindebitamento. Proprio tra pochi giorni si apre in versione totalmente digitale il Salone dei Pagamenti, organizzata da Abi – Associazione bancaria italiana – con possibilità di seguire i diversi argomenti che saranno affrontati dal 4 al 6 novembre (www.salonedeipagamenti.com).

“We have a dream”: che le banche, forse meno veloci nell’erogazione rispetto alle pubblicizzatissime finanziarie ma con tassi convenienti, possano ritrovare il ruolo naturale di sostegno all’impresa in modo semplificato a interessi non solo ragionevoli ma proporzionati alle difficoltà di questo periodo. Ci sono tanti e tanti italiani che devono far fronte a debiti imprudenti o forzati dall’attuale situazione sanitaria. Non sempre e non tutti comunque, compreso l’autore di questo articolo, possono dire di essere in economia dei draghi e, sicuramente, non con la “D” maiuscola.

Aggiornato il 04 novembre 2020 alle ore 10:11