L’economia del benessere di Federico Caffè, maestro di Mario Draghi

Era piccolo di statura Federico Caffè e la sua grandezza la esprimeva attraverso uno sguardo severo, che sprigionava rigore e intransigenza. Anche quando entrava in ambienti militari, come la Scuola Ufficiali dei carabinieri, per tenere una conferenza nell’Aula magna, aveva quell’autorevolezza che si imponeva sino ai gradi più alti. Intere generazioni di ufficiali dell’Arma che hanno studiato sulle sue “Lezioni di politica economica” sapevano che quel testo era stato adottato non solo per i contenuti specifici della materia, ma anche per trasmettere i principi etici che avevano indirizzato l’autore per tutta la sua vita. Caffè non perdeva occasione, infatti, di suggerire ai suoi discenti di non inseguire tendenze o mode passeggere, di avere il coraggio delle proprie idee, e soprattutto di “rimanere sempre vigili senza cedere mai agli idoli del momento, alle frasi fatte, a quelle convenzionali”.

Il senso dello Stato al di sopra di tutto e con uno stile di vita quasi francescano, Caffè aveva dedicato tutta la sua vita alla ricerca e all’insegnamento, con breve parentesi in Banca d’Italia che lasciò per non generare sospetti sulla sua autonomia di pensiero. Membro della Commissione economica per la Costituente, il suo contributo fece nascere la nostra Costituzione con afflati del pensiero di cui fu uno degli interpreti più convinti in Italia. L’incapacità di garantire un’occupazione piena e la distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza riteneva fossero i difetti più evidenti della società economica contemporanea, senza la rimozione dei quali pensava non fosse possibile l’uguaglianza sostanziale promossa dall’articolo 3 della Carta.

Il richiamo egualitario contenuto nell’articolo 3 abbinato al valore fondativo del lavoro, espresso dall’articolo 1, riteneva potesse offrire gli spazi necessari per attivare l’intervento dello Stato al fine di provvedere sistematicamente a realizzare un solido stato sociale, centrato su istruzione, sanità, casa, previdenza, trasporti. Critico con l’economia moderna dimostratasi incapace di sviluppare modelli politici e sociali finalizzati a garantire la piena occupazione, pensava che l’azione pubblica nella vita economica di un Paese dovesse ricercare i principi guida per raggiungere quella che Caffè definiva “economia del benessere”, per garantire standard minimi delle condizioni di vita della popolazione. E un alto livello di welfare. Concetti ripresi in anni più recenti dalla World Bank e dal Fondo monetario internazionale, che in diverse occasioni sono giunti a sostenere che una maggiore equità può portare ad un più completo ed efficiente uso delle risorse di una nazione. E che la diseguaglianza dei redditi rallenta lo sviluppo, causa crisi finanziarie e indebolisce la domanda. Non era di sinistra Caffè, sebbene fosse “tirato per la giacchetta” da più forze politiche ma era consapevole della complessità del capitalismo moderno, dominato dalle imprese e dagli intermediari finanziari transnazionali al punto da reclamare, a tutela dei piccoli risparmiatori inesperti “(…) un’opera informativa che illustri e documenti il carattere ingannevole o fraudolento delle promesse di ingenti guadagni e di rapida moltiplicazione dei loro averi”.

Aveva anche una particolare concezione della moneta e sosteneva il principio che il denaro si possa creare dal nulla, cioè che uno Stato con un opportuno controllo sui pericoli di espansione eccessiva potesse emettere moneta a credito e non a debito. Il 15 aprile del 1987 uscì di casa e da quel momento non se ne seppe più nulla. Dieci anni dopo ne fu dichiarata la morte presunta. Caffè è stato professore di Mario Draghi che spesso menziona l’illustre maestro. Nel suo discorso da presidente della Banca centrale europea (Bce) alla celebrazione del centenario della sua nascita nell’Aula magna della Scuola di Economia e studi aziendali “Federico Caffè” il 12 novembre 2014, il presidente del Consiglio designato ricordò come “Caffè avesse una profonda conoscenza della realtà: istituzionale, sociale, comportamentale e la capacità di indignarsi per ciò che in questa realtà violava principi etici fondamentali e quando vedeva la stupidità prona al servizio dell’avidità. Sapeva cosa fare per porre rimedio alle disuguaglianze ma anche alle inefficienze: questa era la politica economica di Federico Caffè, questa è oggi la Politica Economica nella sua definizione più alta”. Che sia giunto il momento delle riforme che tanto desiderava Caffè? Si vedrà dai lineamenti programmatici del nuovo Governo, ma si spera che la scuola da cui ha mosso i primi passi il nuovo presidente del Consiglio non possa tradire le aspettative.

Aggiornato il 09 febbraio 2021 alle ore 09:39