Giraj Sharma, una speranza per migliaia di indiani

La seconda ondata pandemica che ha colpito l’India è particolarmente cruenta. Le stime ufficiali parlano di 326mila nuovi casi al giorno e circa 4mila morti al giorno. Ma in entrambi i casi sarebbe verosimile, secondo chi va di persona a verificare, moltiplicare anche per otto volte questi numeri. La povertà è così alta che la maggior parte della popolazione non ha neppure i soldi per comprare la legna per bruciare i corpi dei loro cari che perdono la vita a causa del virus, secondo le usanze. In questo quadro desolante c’è chi è partito dal suo Paese e si è stabilito nel nostro già trent’anni fa, con tanta buona volontà, ed ha fatto fortuna.

Giraj Sharma negli anni Novanta è arrivato in Italia da Jaipur nel Rajasthan e si è stabilito a Vicenza, costruendo un pezzo per volta un impero, iniziato in India con le terre di suo nonno. Quattro dei suoi fratelli sono rimasti lì. Lui e un altro suo fratello hanno deciso che dovevano continuare altrove. Ha iniziato poco più che ventenne ad occuparsi di gioielli. Adesso produce e distribuisce in tutto il mondo ed ha costruito un’azienda che conta 70 dipendenti in Italia con sedi a Vicenza e ad Arezzo, un’altra fabbrica a Valencia con 30 dipendenti e una negli Stati Uniti con 50 lavoratori. Il business dei fratelli Sharma si estende anche in India nelle costruzioni, nei ristoranti, nelle fabbriche, nel turismo e nei grandi alberghi. Oggi hanno in tutto 15 mila dipendenti, dagli Usa all’India.

Il desiderio del signor Giraj è di restituire un po’ di questa fortuna ai suoi conterranei. Gli indiani sono rimasti troppo indietro, vivono una condizione di povertà e di arretratezza inaccettabile e vanno aiutati. Ma per Sharma l’aiuto può provenire esclusivamente dal lavoro e dall’insegnamento alla popolazione di alcune tecniche, unico mezzo per ottenere prodotti di miglior qualità. L’idea viene proprio dopo tanti anni di vita in Italia, avendo acquisito conoscenza, il gusto e il piacere di aver condiviso la nostra cultura. Aver mangiato buoni piatti e conosciuto tanti professionisti di tanti settori, fra cui quello che gli ha dato l’idea che intende esportare nella sua terra natia: il latte, la sua pastorizzazione e trasformazione. In India c’è una manodopera infinita e la popolazione ha frequentemente animali in famiglia, ma nessuno ha idea di come si conservi il latte e di come si possano ottenere determinati prodotti.

“Le persone non hanno lavoro – ha affermato l’imprenditore Giraj Sharma – ho chiesto al governo indiano di darmi la terra necessaria ad un prezzo minimo, per cercare di creare un’attività per la nostra popolazione. Lo scopo è arrivare a 12-15 mila persone che possono lavorare. In India non abbiamo tecnologie come in Europa. Così il governo mi ha concesso questi terreni e noi abbiamo un grande progetto già definito in ogni sua parte. Abbiamo costituito una società senza scopo di lucro, perché vogliamo che tutto resti per la popolazione indiana. Siamo una decina di soci, fra imprenditori e professionisti indiani, tra cui un tecnico molto conosciuto in India che gestirà la parte ingegneristica. Ci sono anche dei professionisti italiani nel progetto, un milanese, un calabrese, e due vicentini. Costruiremo una grande fabbrica in stile italiano e importeremo i macchinari dall’Italia. Quindi la tecnica e il sistema sarà tutto italiano, perché il vostro sistema è il migliore. Questa tecnologia sarà insegnata inizialmente a 260 giovani, per questo costruiremo altrettante 260 unità, e investendo una somma minima potranno essere riscattate con il lavoro e chi lo farebbe si ritroverebbe presto ad avere di proprietà la tecnologia per mettersi presto in proprio, avendo un cospicuo guadagno annuale. Quindi impareranno a pastorizzare il latte, cosa è la lunga conservazione, a fare lo yogurt, il burro, la mozzarella e i formaggi. Ogni famiglia selezionata possiede già un certo numero di animali, una mucca ma anche molte di più. Tutti hanno a che fare ogni giorno con il latte”.

Una iniziativa lodevole e molto ambiziosa, ma qualcosa durante il lavoro potrebbe andare storto: “All'interno dell’azienda noi provvederemo a garantire un servizio sanitario e un asilo per i loro bambini – ha continuato Sharma, contento che abbia sollevato l’ipotesi di questa eventualità – così chi inizia l’attività potrà dare lavoro a chi è ancora meno fortunato e portare con se anche la sua famiglia senza dover pensare a tutto, perché in ogni unità possono lavorare circa 16 persone e tutte possono a loro volta rendersi indipendenti nel tempo. Noi restiamo sempre dietro per esserci nei momenti di difficoltà. Dove loro avranno problemi per pagare noi daremo una mano. Se si rompe un macchinario ci saremo noi ad aggiustarlo. In questo modo l'attività potrà espandersi a macchia d’olio”.

Se per un operaio lo stipendio mensile in India è di circa 5mila rupie, è comprensibile perché non possa permettersi di cremare un familiare dato che il costo si aggira fra le 40 e le 50mila rupie. Questo dà il senso di quanto può essere importante un’attività del genere in India, un inizio di industrializzazione. Giraj Sharma, che attende di tornare nel nostro Paese quando la pandemia lo consentirà, ha due figli che studiano a Londra e uno di loro studia Economia. Il futuro di questo processo quindi è salvo, anche perché questa struttura potrebbe essere solo la prima di una lunga serie.

@vanessaseffer

Aggiornato il 17 maggio 2021 alle ore 13:09