L’olio di Argan da sempre è usato nella medicina e cosmetica tradizionale per le sue straordinarie proprietà. Le donne lavoratrici delle cooperative marocchine si tramandano da generazioni le conoscenze sull’albero di Argan e sul suo prezioso frutto, ma soprattutto su come estrarne l’olio.

La produzione dell’Argan è al centro di un dibattito economico notevole per le prospettive di sviluppo sostenibile, condiviso e aperto agli investimenti che l’intero settore può generare. La tematica è stata approfondita durante un recente webinar intitolato “Argan Tree: Sostenibilità economica, ambientale e sociale”, organizzata dall’Associazione “Legami” e fortemente voluto da Abdessamad El Jaouzi, founder dell’associazione e head of sustainable economy della Mactt-Ngo e dall’ Università di Roma Tor Vergata. L’idea è quella di generare un network economico, commerciale e culturale tra Marocco e Italia sostenendo un approccio all’agricoltura innovativo e aperto alla conoscenza della valorizzazione delle culture tipiche del Mediterraneo.

L’Italia e il Marocco condividono molte delle caratteristiche geo-ambientali tipiche dell’area mediterranea e la capacità di resilienza, adattamento e sviluppo agricolo è un approccio comune. Una particolarità che rappresenta senza dubbio un’eccellente opportunità di cooperazione, networking e condivisione del know-how, anche per affrontare la sfida del cambiamento climatico a cui sono entrambi soggetti. I frutti dell’Argania spinosa, che vive esclusivamente in Marocco, sono simili a dei noccioli che al loro interno contengono delle piccole mandorle. La raccolta dei frutti avviene in maniera totalmente naturale poiché è necessario che essi cadano al suolo naturalmente quando maturano e seccano e in particolar modo durante i mesi di giugno e luglio. Le donne berbere delle cooperative raccolgono da terra i frutti dell’albero di Argan, facendo una preselezione qualitativa e poi li convergono ai centri di raccolta e lavorazione della propria cooperativa. Fin da questa fase tutto avviene in maniera manuale, sfruttando i mezzi delle popolazioni autoctone e la loro manualità.

La fama e il successo dell’olio di Argan arrivano in Occidente soltanto nei primi anni del 2000. Viste dall’alto, le foreste di Argan ricamano di verde le gialle dune sahariane. Un patrimonio ambientale e sociale visibile soltanto in Marocco, nella regione di Souss, dove ci sono coltivazioni per oltre 820.000 ettari. Alberi antichissimi che richiamano alla memoria italiana l’albero di olivo, dalle radici lunghe oltre dieci metri, necessarie per trovare l’acqua nel sottosuolo, longevi da vivere fino a 250 anni e le cui foglie sono una leccornia per capre e cammelli. Per produrne un litro di olio di Argan serve il raccolto di sei alberi e un processo lungo e laborioso di circa due giorni. I noccioli vengono tostati, poi spaccati con grandi sassi per ricavarne i semi che infine sono sbriciolati dentro piccole macine di pietra e lavorati con acqua fino a ottenere il prezioso olio.

Un procedimento lunghissimo e fatto interamente a mano, tanto che nel 2014 l’Argan e la sua lavorazione sono stati inseriti nella lista dei beni culturali immateriali del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Proteggere le foreste di Argan significava difendere l’ambiente dalla crescente desertificazione legata ai cambiamenti climatici, al disboscamento per lo sfruttamento del suolo per attività di pascolo e ottimizzare le risorse idriche locali. Per salvare queste terre, nel 1998 l’Unesco le ha dichiarate Riserva della Biosfera, tutelando l’area e valorizzando le coltivazioni e produzioni autoctone.

Aggiornato il 15 giugno 2021 alle ore 12:00