Serrande abbassate: i negozi spariti in oltre dieci anni

Desertificazione commerciale. Tradotto: botteghe che spariscono. Il trend in oltre dieci anni non lascia spazio a interpretazioni: dal 2012 al 2023 parliamo di un negozio su cinque che chiude i battenti. Numeri alla mano, sono 111mila i punti vendita morti, 24mila attività ambulanti svanite nel nulla. Mentre c’è una crescita per i settori dell’alloggio e della ristorazione. Bene i bed and breakfast: +168 per cento nei centri storici del Sud, +87 per cento in quelli del Centro-Nord. Considerando lo stesso lasso di tempo, balza agli occhi la riduzione del numero di imprese italiane attive nel commercio, negli alberghi e nei pubblici esercizi (-8,4 per cento, calo dei bar e aumento dei ristoranti) e il conseguente aumento di quelle straniere (+30,1 per cento). Confcommercio sottolinea che metà della nuova occupazione straniera nell’intera economia (+242mila occupati) viene proprio da questi settori. I dati sono forniti dall’Ufficio studi di Confcommercio (diretto da Mariano Bella) con il centro studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne. Una riduzione, peraltro, più evidente nei centri storici che nelle periferie. Bella, nel presentare l’indagine “Città e demografia d'impresa: come è cambiato il volto delle città, dai centri storici alle periferie, negli ultimi dieci anni”, spiega che l’analisi va di certo considerata. Ma che, allo stesso tempo, “non va tutto male, cala il numero di negozi ma il commercio resta vitale e reattivo. Potevamo essere sterminati con tutto ciò che è successo dal 2012 ad oggi”.

Osservando le 120 città medio-grandi dello Stivale, come detto la diminuzione di attività commerciali si fa sentire nei centri storici rispetto alle periferie. Un trend, questo, che vale sia per il Mezzogiorno che per il Centro-Nord. Sempre meno, perciò, le attività tradizionali (carburanti -40,7 per cento, libri e giocattoli -35,8 per cento, mobili e ferramenta -33,9 per cento, abbigliamento -25,5 per cento). Indici positivi, invece, per esercizi commerciali nel comparto dei servizi e della tecnologia (farmacie +12,4 per cento, computer e telefonia +11,8 per cento). Stessa musica per le attività di alloggio (+42 per cento) e ristorazione (+2,3 per cento).

Dicevamo desertificazione commerciale. Scomparse dai 120 Comuni oggetto del report più di 30mila unità locali di commercio al dettaglio e ambulanti (-17 per cento). Così, la densità commerciale va da 12,9 a 10,9 negozi per mille abitanti: il calo è del 15,3 per cento. Il fenomeno, viene specificato nello studio, non è legato – se non in minima parte – al calo della popolazione, scesa del 2 per cento. Nel contesto, le vendite da canali online viaggiano spedite: da 17,9 miliardi nel 2019 a 35 miliardi nel 2023 (+95,5 per cento i beni e +42,2 per cento i servizi). Un settore online, sottolineano, che nel 2023 “vale ormai il 17 per cento degli acquisti di abbigliamento e il 12 per cento del beauty”. Se la crescita dell’e-commerce può essere considerata la maggiore responsabile della riduzione del numero di negozi, allo stesso tempo rappresenta un’opportunità per il commercio “fisico” tradizionale.

Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, commenta: “Prosegue la desertificazione commerciale delle nostre città, un fenomeno che riguarda soprattutto i centri storici dove la riduzione dei livelli di servizio è acuita anche dalla perdita di commercio ambulante. Il commercio – insiste – rimane comunque vitale e reattivo e soprattutto mantiene il suo valore sociale”. Per Sangalli resta prioritario, in ogni caso, “contrastare la desertificazione commerciale con progetti di riqualificazione urbana per mantenere servizi, vivibilità, sicurezza e attrattività delle nostre città. In questa direzione – aggiunge – vanno il progetto Cities di Confcommercio e la rinnovata collaborazione con l’Anci a conferma del nostro impegno per favorire uno sviluppo urbano sostenibile e valorizzare il ruolo sociale ed economico delle attività di prossimità nelle città”.

Il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, parla di dati allarmanti. Ed evidenzia: “Le cause di questo fenomeno sono diverse e diversi sono anche i possibili rimedi. Ci sono, però, due misure molto concrete che riuscirebbero in poco tempo a cambiare le cose: la prima è il superamento delle regole contrattuali, risalenti a quasi mezzo secolo fa, che ingessano le locazioni non abitative, da sostituire con norme equilibrate e al passo coi tempi; la seconda è l’introduzione della cedolare secca per gli affitti commerciali, prevista dalla riforma fiscale approvata dal Parlamento, ma non ancora attuata. Si tratta – termina – di due interventi che favorirebbero l'incontro fra domanda e offerta di locali commerciali in affitto e la rinascita dei centri storici. Che cosa si aspetta a vararli?”.

Aggiornato il 08 febbraio 2024 alle ore 15:05