Crisi finanziaria e pulizia politica

Luigi Lusi, Francesco Belsito, Rosi Mauro, Renzo e Umberto Bossi, Davide Boni, Filippo Penati, Nichi Vendola, Roberto Formigoni e mezza giunta regionale lombarda, Valter Lavitola e ovviamente lui, Silvio Berlusconi. Appuntatevi questi nomi, solo i più citati, coinvolti a vario titolo - indagati e non - nelle numerose inchieste che in lungo e in largo nella nostra penisola stanno scuotendo le fondamenta del sistema politico. Tra qualche anno, quando il polverone si sarà diradato, sarà di una qualche utilità, per comprendere cosa stesse accadendo in questi giorni, sapere che fine avranno fatto, quale esito giudiziario sarà toccato loro in sorte. Paginate di giornali, aperture dei tg, talk show, ovunque lo tsunami di rivelazioni sembra inarrestabile, ondata dopo ondata travolge ogni cosa.

Non c'è nemmeno il tempo di porsi qualche domanda che già sopraggiunge lo scandalo successivo, o il vecchio si arricchisce di una nuova puntata, di un particolare in più. Eppure, da Tangentopoli a Partitopoli, alcune coincidenze nell'assalto mediatico-giudiziario al sistema politico non possono non sollevare alcuni interrogativi per chi non si accontenti delle gogne per sfogare il proprio malcontento. Allora come oggi le grandi "pulizie" coincisero con una pericolosa crisi finanziaria; oggi la fine poco gloriosa del berlusconismo spalanca le porte del governo agli eredi del Pci, così come allora la caduta del Muro, nell'89, aveva posto le basi per il superamento della cosiddetta "conventio ad excludendum". Nonostante il carattere evidentemente sistemico del malcostume politico italiano, oggi come allora l'azione delle procure, se è vero che non risparmia del tutto nessuno, sembra concentrarsi con occhiuta pervicacia su alcuni bersagli. E' solo una coincidenza, per esempio, che dall'insediamento del governo Monti siano stati colpiti soprattutto due partiti - Lega e Sel - dei tre rimasti all'opposizione dell'inedita maggioranza Pdl-Pd-Terzo polo? E che nell'occhio del ciclone siano finiti Formigoni, uno dei leader che nel campo dei moderati avrebbe potuto aspirare alla successione a Berlusconi, e Vendola, che può competere per la leadership nel campo della sinistra? Lo scandalo della sanità pugliese dura da alcuni anni, eppure solo ora il governatore risulta indagato. 

È troppo malizioso osservare che quanto sta accadendo sembra spianare la strada ai fautori di una grande coalizione, o in alternativa sgombrare il campo per una "gioiosa macchina da guerra 2.0"? Molte delle personalità coinvolte non sono nemmeno indagate. Basta molto meno per infangarle politicamente. Il tesoriere della Lega è accusato di truffa ai danni dello stato e appropriazioni indebite, ma non è paradossale che i presunti beneficiari non siano nemmeno indagati? Come se davvero ne beneficiassero a loro insaputa; o forse le implicazioni penali dell'intera vicenda sono più sfumate di quanto appaiano, nell'ambiguità e incompiutezza che circonda lo status giuridico dei partiti e dei loro finanziamenti? La sensazione è che ancora una volta l'azione penale possa rivelarsi strumento di una "pulizia" politica, di un'indebita azione moralizzatrice, più che del perseguimento dei reati.

Certi comportamenti sono senz'altro condannabili politicamente, ma la domanda chiave è se spetti o no alla magistratura istruire processi politici. Chi non si accontenta di una visione moralistica della politica non potrà non rintracciare tra le cause del malcostume diffuso nel nostro paese l'enorme fetta di economia nazionale intermediata dallo Stato, quindi dalla politica, ad ogni livello. Sono gestiti direttamente o indirettamente dai politici oltre 700 miliardi di euro l'anno. Come si può immaginare che una tale torta non offra l'occasione e allo stesso tempo l'alibi? Ci scandalizziamo dell'ingerenza della politica nella sanità, ma come potrebbe essere altrimenti se noi stessi, pretendendola pubblica, la consegniamo ai politici? Porsi tali domande non significa in alcun modo assolvere la nostra classe politica. Anzi, in attesa delle sentenze il giudizio politico, oggi come nel '92-'93, è una condanna senz'appello: per aver malgovernato il paese, con l'aggravante di essersi impossessata di enormi risorse a cui ancora oggi resta pervicacemente aggrappata.

Ma possibile che il ricambio debba avvenire in gran parte per azione giudiziaria? Non resta una grande e preoccupante anomalia del nostro paese? La quale in fin dei conti toglie agli italiani il diritto di sanzionare politicamente chi li ha malgovernati?

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:31