Pdl, chiedere scusa e ripartire

Prima delle elezioni amministrative il Pdl aveva mosso alcuni passi incoraggianti sulla lunga e faticosa strada verso il recupero della propria credibilità. Ponendo con insistenza, al centro del suo rapporto con il governo Monti, il tema delle tasse e delle correzioni alla pessima riforma del lavoro. La sensazione, tuttavia, è che la debàcle elettorale, anziché rafforzare la determinazione del Pdl nel percorrere questa rotta, l'abbia ricondotto ad uno sterile tatticismo politicista.

Il Pdl ha pagato a caro prezzo l'appoggio a Monti, le divisioni nel centrodestra, la mediocrità della sua classe dirigente, l'assenza di Berlusconi, la mancanza del "quid" in Alfano. Queste le analisi prevalenti della sconfitta. Non sorprende quindi che nel dibattito post-elettorale non si discuta d'altro che di staccare o meno la spina al governo, di come riunire i "moderati", di quale leadership e di come rinnovare il partito. Tutti temi importanti, ma che non aiutano a recuperare il rapporto con gli elettori delusi (un terzo degli astenuti di oggi avevano votato Pdl nel 2008). In tutte le sue analisi il Pdl continua a mancare il bersaglio, a girarci intorno. Non sarebbe andato incontro ad una pesante sconfitta se si fosse votato a gennaio, «sotto la neve», come chiedeva qualcuno?

Certo, le stangate fiscali di Monti non aiutano, ma il Pdl paga soprattutto il proprio fallimento al governo ed è sulle cause di questo fallimento che si deve interrogare. I suoi elettori gli hanno messo in conto non solo l'ultima esperienza di governo, bensì tutti i 17 anni dell'era berlusconiana durante i quali è stata a più riprese tradita la promessa di cambiamento, economico e istituzionale, la cosiddetta "rivoluzione liberale", su cui tutte le coalizioni berlusconiane avevano raccolto i loro consensi. Se per 17 anni hai fatto delle promesse ai tuoi elettori, e una volta al governo hai fatto puntualmente l'opposto, tanto da non riuscire ad evitare al Paese una pesante gragnola di tasse e uno stato di polizia tributaria, puoi anche chiamarti Berlusconi o Padreterno, ma la gente non ti crede più e se ne sta a casa aspettando che si presenti qualcuno più credibile.

Il primo passo, quindi, dovrebbe essere una solenne e sincera operazione verità, di denuncia davanti agli elettori del proprio errore capitale: l'aver ceduto ad una politica economica statalista, conservativa, immobilista, l'opposto dello spirito del 1994. Facce nuove e atti concreti per rinnegare in toto la politica economica cripto-socialista che i governi di centrodestra hanno sempre perseguito. Sarà un caso che "Italia Futura", l'associazione di Montezemolo, preparandosi a lanciare la sua Opa sull'elettorato di centrodestra smarrito, disgregato, faccia proprie in campo economico e istituzionale le due proposte sdoganate da Forza Italia nel lontano 1994: "meno Stato" e presidenzialismo?

La confusione regna ancora sovrana nel Pdl: incalza il governo sulla spending review e l'abbattimento del debito, sull'Imu e l'Iva, ma si lascia affascinare dalla vittoria di Hollande e dalle ricette di Krugman. È comprensibile opporre un pizzico d'orgoglio patrio rispetto alle richieste di austerity che giungono da Bruxelles e Berlino, e voler tutelare l'interesse nazionale di fronte a impegni troppo gravosi per il nostro Paese, ma un Pdl che ancora "flirta" con approcci socialisti e keynesiani mostra di non aver ancora compreso la fondamentale lezione delle sue sconfitte.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:37