Anche sui tagli governo a rischio flop

Se, dopo aver battuto i pugni sul tavolo davanti alla Merkel al Consiglio Ue, arrivando a minacciare il veto sugli altri capitoli del vertice pur di ottenere un paragrafetto sullo scudo anti-spread, non si dimostrasse in grado di portare a casa un taglio significativo della spesa, Monti perderebbe molta della credibilità così ultimativamente messa sul piatto a Bruxelles. Ma come, si chiederebbero i nostri partner più severi, l’Italia viene a chiederci di cucirle praticamente addosso un meccanismo per far calare lo spread, e intanto dimostra di non procedere con la determinazione necessaria nella riforma della propria spesa pubblica? Dunque, immediati e tangibili tagli alla spesa come vera e propria condizione non scritta in cambio del firewall finanziario a lungo invocato da Monti, ma le cui modalità operative devono ancora essere fissate e dipenderanno anche dalla serietà che dimostreremo nelle riforme.

L’Italia resta “sorvegliata speciale” in Europa, come ha ripetuto ieri il viceministro Grilli, ancor di più dopo la voce grossa alzata all’ultimo vertice. Ma siccome ci vorrà tempo prima che lo scudo anti-spread prenda eventualmente forma e vita, nel frattempo, come osserva Giavazzi sul Corriere, «solo la determinazione di ciascun paese a fare i propri “compiti a casa” può tranquillizzare gli investitori». La domanda chiave quindi ora è: Monti batterà i pugni sul tavolo anche al cospetto dei sindacati, dei partiti e, soprattutto, delle mille burocrazie centrali e locali? Punti fermi dovrebbero essere (condizionale d’obbligo) le strette nella pubblica amministrazione e nella sanità. Taglio dei dirigenti (-20%), dei dipendenti (-10% quelli di secondo livello), nonché delle consulenze (-20% rispetto al 2009), ma anche di buoni pasto, permessi e auto blu. Una riduzione di 100 mila unità in tre anni su 3,5 milioni (appena il 3%). Mobilità interna, per riallocare personale in eccesso in uffici sottorganico, e prepensionamento o mobilità per gli esuberi. Si estende quindi ai dipendenti pubblici il nuovo programma di “esodi” previsto dall’articolo 4 della riforma del lavoro, per far andare in pensione chi era vicino al traguardo con i vecchi requisiti, in deroga alla riforma Fornero.

Nella sanità stretta sugli acquisti di beni e servizi da parte di asl e ospedali, con l’adozione di prezzi di riferimento per le forniture e controllo centralizzato degli acquisti. Risparmi previsti 3-3,5 miliardi in tre anni (nel 2012 poco più di un miliardo), di cui una fetta importante grazie allo sconto obbligatorio imposto alle industrie e alle case farmaceutiche su prodotti a carico del Ssn. Così sarebbero capaci tutti di risparmiare: come se potessimo obbligare il supermercato a farci lo sconto. Queste le misure che dovrebbero rientrare nell’“intervento urgente” da approvare entro venerdì. Un terzo decreto, tra qualche settimana, dovrebbe riguardare la riorganizzazione dei governi locali e dei governi periferici dello Stato, in cui dovrebbero rientrare l’accorpamento delle province e il taglio di tribunali, procure e sezioni distaccate. Tutto tace invece, per ora, su pensioni d’oro, finanziamento dei partiti e contributi pubblici alle imprese. In modo bipartisan governatori di regioni e sindaci lamentano il taglio ai servizi, piuttosto che agli sprechi, torna l’accusa di “tagli lineari”, mentre anche l’Anm è in rivolta per i tagli alla giustizia e i sindacati minacciano lo sciopero generale contro i tagli nel pubblico impiego: chiedono “concertazione” e si aspettano l’applicazione dell’accordo con il ministro della funzione pubblica.

Tra l’avvertimento e la minaccia, la Camusso suggerisce di «non mettere altra benzina sul fuoco» e paventa il rischio di «conflitto sociale». Ma attenzione a non farsi ingannare dalle vuvuzelas di sindacati e partiti. Le resistenze più insidiose per Monti sono quelle silenziose dei ministeri, delle burocrazie, quindi interne al suo stesso governo, con i ministri che – proprio in quanto tecnici – tendono a comportarsi più da rappresentanti corporativi del proprio settore che da manager. Ma un errore strategico, di fondo, il governo l’ha già commesso: limitare l’obiettivo della spending review allo stretto necessario per evitare l’aumento dell’Iva da ottobre, per scudare gli esodati e far fronte alle spese per gli aiuti ai terremotati dell’Emilia. Per queste ultime due esigenze serve una cifra maggiore dei 4,2 miliardi preventivati, ha avvertito ieri Monti. Ma a quanto pare di capire difficilmente si raggiungerà l’1% della spesa pubblica al netto degli interessi sul debito. Lo schema nel quale si muove il governo, insomma, è quello della mera manutenzione, non del cambiamento di paradigma. Credibilità maggiore avrebbe avuto un grande piano triennale per ridurre la spesa di diversi punti di Pil (6-8%), come ha fatto la Germania, che avrebbe legato le mani anche al futuro governo, rassicurando così mercati e partner europei sulla rotta che l’Italia intende seguire nel post-Monti.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:32