Come affrontare il ritorno di Silvio

Innanzitutto, mettiamo meglio a fuoco la notizia: Berlusconi sta seriamente pensando, non ha già deciso, di ricandidarsi a premier. Se ha fatto filtrare questo annuncio ufficioso, è molto probabile che propenda per questa scelta, ma al momento si tratta di sondare il terreno. Molto dipenderà dai prossimi sondaggi, quando gli elettori avranno metabolizzato l’eventualità del ritorno in campo, e dalla legge elettorale. Ma qual è il piano? Berlusconi sa di non poter tornare a Palazzo Chigi. Questa volta l’obiettivo non è la rivincita, ma una sconfitta senza ko, ai punti. Secondo molti l’ex premier è ancora l’unico in grado di tenere insieme tutte le “anime” del Pdl (se non più per convinzione, per debolezza di ciascuna), quindi di fermare il progressivo sfaldamento del partito e l’emorragia di consensi in atto. Se sotto la sua guida il Pdl andasse oltre il 20%, si confermerebbe seconda forza nel Paese, principale opposizione, mantenendo centralità e influenza anche nel prossimo Parlamento, prospettiva al momento più che compromessa. Stavolta, tuttavia, non va dato per scontato l’appeal di Berlusconi. Tutto da dimostrare, infatti, che  dopo qualche iniziale fiammata di consenso non torni negli elettori, delusi proprio da lui, la noia per il già vissuto.

Il piano è di “scippare” una vittoria netta alla sinistra e, dopo il voto, cioè senza dichiararlo prima agli elettori, che non capirebbero («certe cose si fanno ma non si dicono»), rilanciare Monti anche nella prossima legislatura, sostenuto da una grande coalizione. Questa volta l’azionista di maggioranza sarebbe il Pd, ma con il Pdl secondo azionista. La legge elettorale è il vero dilemma. Per “costringere” Bersani ad una mezza vittoria servirebbe un proporzionale con minime correzioni maggioritarie, in modo che il primo partito (il Pd) non abbia i numeri per governare da solo, e dunque sia portato ad accettare una grande coalizione. Ma allo stesso tempo un sistema siffatto è proprio quello che meno aiuterebbe il Pdl a recuperare il voto dei delusi, che potrebbero disperdersi in una miriade di nuove piccole offerte politiche.

Monti ha escluso il bis, ma è ovvio che resterà a disposizione di eventuali chiamate simili a quella di novembre. Il Quirinale spinge per tale esito: auspica una nuova legge elettorale che ne favorisca le condizioni e richiama i partiti a impegnarsi sull’“agenda Monti”. Anche se si presentasse alleato con il Pd, Casini non vorrà certo governare da solo con Bersani ostaggio della Camusso. Da non sottovalutare, poi, il “partito Monti” interno al Pd. Potrebbe rimanere deluso chi si aspetta segnali di allarme dai mercati e dai partner Ue per il ritorno in campo di Berlusconi. Gli scenari post-voto al momento sono due: o un governo di centrosinistra guidato da Bersani, in cui l’eventuale presenza di Casini non basterebbe a controbilanciare le spinte della sinistra politica e sindacale; oppure una grande coalizione a sostegno di un Monti-bis. Quanto più il ritorno di Berlusconi verrà inteso come strumentale a determinare un sostanziale pareggio nei numeri per formare una maggioranza, quindi a creare le condizioni perché l’Italia continui ad essere guidata da Monti, tanto meno in Europa e nel mondo economico-finanziario vedremo battere ciglio.

Ancora una volta Berlusconi riuscirebbe a fermare la gioiosa macchina da guerra 2.0 della sinistra, ma le notizie positive finirebbero qui. Dalla sua ricandidatura non possiamo aspettarci ciò in cui ha fallito in vent’anni, ossia nel dare al centrodestra un’ideologia politica ben definita. Come osserva il think tank conservatore inglese “Centre for Policy Studies” nel paper pubblicato dal Foglio, per avere successo occorrono «intelaiatura intellettuale» e «chiarezza ideologica», proprio ciò che tranne in brevi parentesi è mancato alle coalizioni berlusconiane e ora manca al Pdl, “ridotta” di democristiani, socialisti ed ex missini (corporativi e statalisti). Anche per il paese non potremmo aspettarci granché da un Monti-bis che nascesse con l’imbroglio, cioè senza una scelta consapevole degli elettori. Potrà avere, forse, la competenza tecnica, evitarci un viaggio di sola andata per la Grecia sul treno Bersani-Camusso, ma sarebbe comunque privo di quella chiarezza ideologica necessaria a compiere scelte sufficientemente nette e a farle accettare, sul piano morale e intellettuale, alla maggioranza della gente. Senza prima aver tracciato una linea netta tra chi vuole cambiare il Paese e chi no, linea ad oggi trasversale ai partiti, quindi senza politicizzarsi, schierarsi, combattere la battaglia ideologica, non c’è berlusconismo o montismo che possa farcela.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:33