Lettera aperta per Gianni Alemanno

Caro Gianni,

mala tempora currunt, sed peiora parantur. Ho letto alcune considerazioni di Marcello Veneziani sulla “morte” della Destra. Veneziani scrive che questa Destra “è morta non per identità, ma per nientità e per mediocrità” e porta ad esempio anche i tuoi insuccessi romani. In realtà Veneziani si è limitato a descrivere quello che pensa, a ragione, la maggioranza dei militanti e degli elettori di destra, anzi, quello che pensa la maggioranza degli italiani. Ho letto anche la tua desolante risposta. Una risposta piccata, arrogante, inopportuna.

La risposta di chi non si rende conto del sisma devastante che si è abbattuto sul mondo della destra, di chi ha l’abitudine di autoassolversi con pervicacia da ogni responsabilità, di chi si sente “lesa maestà ”, di chi ha perduto l’abitudine all’umiltà e alla verità. Ed è questo atteggiamento inaccettabile del “gruppo dei colonnelli” che rischia di uccidere definitivamente la destra. È un problema spirituale e morale, prima che politico. Tu sai che ti ho voluto bene e che, malgrado le tue ingiustificabili mancanze sul piano umano, te ne voglio ancora. Ma questi sono fatti personali. Ora dobbiamo salvare questa destra ferita che noi militanti, spendendo vita e sacrifici in epoche tragiche, vi avevamo affidata, gratuitamente, affinché ne foste le guide in anni di fortunati successi e, per un miracolo insperato, di ascesa al governo e al potere. Dovevate e dovevamo modernizzare il “partito”, diventare il lievito culturale del nuovo millennio, risvegliare i valori etici e sociali dello Stato, moralizzare l’amministrazione pubblica e l’Italia, costruire una “comunità” fondata sulla giustizia e sull’onestà, creare una nuova classe dirigente basata sul merito e sulle capacità in grado di vincere le sfide della globalizzazione.

Questi erano gli obblighi e le promesse. Questo abbiamo detto e garantito ai militanti e al popolo italiano per farvi eleggere parlamentari, governatori e sindaci. E ora questi amici e cittadini che vi hanno votato e sostenuto ne chiedono conto e giudicano. Sì, hanno il sacrosanto diritto di giudicare e anche di “processare” chi non ha mantenuto gli impegni liberamente presi. E hanno il sacrosanto diritto di ricostruire la comunità della destra partendo dalla realtà. È inutile nascondere la verità. Anzi, è vile e nocivo. La destra esce, dopo quasi due decenni dallo storico “sdoganamento berlusconiano”, letteralmente a pezzi. La classe politica che è stata delegata a rappresentarla nei ruoli di governo del Paese e degli enti locali, nella maggioranza dei casi, è stata nefasta. In preda a un delirio di onnipotenza e di presunzione ha gestito il potere cercando i comodi privilegi, impegnandosi più negli interessi personali o di corrente che nella buona amministrazione ed escludendo sistematicamente tutti coloro che erano culturalmente preparati e moralmente inattaccabili.

Militanti, professionisti, imprenditori, giovani e meno giovani intelligenze, cittadini di grandi qualità morali e di grandi capacità sono stati rapidamente emarginati per far posto ai soliti furbi, agli arrampicatori, a figure servili e inaffidabili pescate secondo oscure logiche “parentali” sia nelle file del proprio “gruppo” che nei quadri dei partiti avversari. Una corsa sfrenata al potere, alla compulsiva esibizione mediatica, allo squallido mercato delle poltrone e al patetico abbraccio dei “salotti buoni”. Una gara penosa alla quale hanno partecipato capi e capetti bizzosi e provinciali. Non dimentichiamo. Eravate lì per eliminare la “casta” e i suoi virus e siete voi stessi diventati “casta e virus”. Gianfranco Fini è certamente il maggiore colpevole della “strategia dell’autodistruzione”, ma i cosiddetti “colonnelli” e i loro accoliti ne sono correi. Risultato finale: una devastante diaspora e la totale mancanza di una classe dirigente che possa sostituire i responsabili del disastro. Ci vorranno anni per ricostruire una destra ideologicamente moderna, per prepararne i quadri giovanili, per recuperare il generoso entusiasmo dei militanti. E pensare che intere generazioni si sono sacrificate, fino ad offrire la vita, per testimoniare ideali ispirati alla libertà, all’onestà, alla difesa dei diritti dell’uomo e dei perseguitati, allo spirito di servizio, alla protezione dei più deboli, all’equità sociale, alla giustizia e alle sue garanzie.

Questa coerenza e questa integrità erano il nostro patrimonio spirituale. Allora, che senso ha la tua polemica con Marcello Veneziani per difendere l’indifendibile? Ora le priorità sono altre. Il nostro Paese sta vivendo una crisi sociale ed economica sempre più tragica e ingovernabile. Cresce il rischio che si scatenino disordini, rivolte e violenze di piazza alimentate dalle periferie emarginate, dai centri sociali, dalle masse esasperate, dalla criminalità organizzata. Potremmo subire devastazioni molto peggiori di quelle provocate dai tumulti delle banlieuses parigine durante l’autunno del 2005. Il nostro sistema di democrazia rappresentativa è avvitato in una crisi irreversibile. Le istituzioni, tormentate dagli scontri corporativi per il potere, stanno perdendo il ruolo di garanzia e la loro credibilità. Per tutte queste ragioni e per rispetto del suo ruolo storico la destra ha il dovere di ritrovare unità, forza, senso di responsabilità e un progetto politico in grado di affrontare anni drammatici per l’Italia e per il suo popolo. Caro Gianni, ti ricordi che il nostro principale compito era quello di preparare i giovani a vivere questa crisi epocale? E tanto per citare un’occasione, ti ricordi la disponibilità dei rappresentanti delle élites del “Movimento Kibbutzim” a realizzare con noi un laboratorio sociopolitico che coinvolgesse i giovani di una nuova destra solidarista? Sì? Siamo rimasti esattamente a quel punto.

Abbiamo bruciato cinque lunghi e preziosi anni. Ora non ci sono alternative né scuse. Dobbiamo ricostruire subito la nostra comunità politica e umana con umiltà, con spirito di servizio, con pazienza e sacrificio, senza ambizioni individualistiche, scegliendo le persone migliori e più generose. Anche, per esempio, incominciando a usare in modo trasparente l’enorme patrimonio economico e finanziario della Fondazione An , che, in onestà, dovrebbe appartenere ai militanti. Le polemiche e le patetiche autodifese non servono. Caro Gianni, solo chi offrirà se stesso in maniera disinteressata, abbandonando le presunzioni e operando con integrità, potrà collaborare alla creazione di una comunità solidale di destra degna delle sue tradizioni e dei suoi valori. La destra non è morta: è ferita, gravemente, ma è curabile. Sì caro Gianni, è curabile se i “colonnelli” e le loro corti, invece di continuare a difendere gli interessi personali, ritroveranno dignità sufficiente e lo spirito generoso che animava la loro gioventù. In ogni caso, abbiamo tutti il dovere di lottare per garantire il futuro e il decoro delle generazioni che verranno e il diritto di difenderci dai “distruttori”. Con sincerità, speranza e coraggio. Come una cordata, d’inverno, sulla parete nord del Cervino.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:50