Napolitano: “capriccio” e… “imposizione”

Se non è stato un “capriccio” è stata una “imposizione”. E ora il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di fronte alle rivelazioni di Alan Friedman sull’intenzione del Quirinale di portare alla guida del Governo Monti manifestata molti mesi prima della crisi che portò alla caduta del Governo Berlusconi, non può sottrarsi in alcun modo al dovere di chiarire questa grave questione.

Se non avesse escluso l’ipotesi del “capriccio” personale nei confronti di Monti e non avesse insistito nel sostenere che il nome dell’ex Rettore della “Bocconi” emerse dalle consultazioni realizzate dopo le dimissioni di novembre del Cavaliere, oggi il Capo dello Stato potrebbe tranquillamente spiegare di aver legittimamente pensato, nell’estate della tempesta dello spread, all’economista Monti come possibile sbocco della crisi che si andava addensando sul Paese. Ma Napolitano ha escluso il “capriccio”. Ha negato di aver preparato in estate la soluzione Monti realizzata nel successivo autunno. Ha insistito, anche a dispetto della sua decisione di nominare senatore a vita il predestinato professore prima del cambio di Governo, sulla tesi che solo dalle consultazioni sarebbe emersa l’indicazione del fatidico nome.

E ora, a meno di sconfessare se stesso, non può tornare sui propri passi spiegando che in effetti, di fronte alla tempesta estiva dello spread, in estate aveva avuto una mezza idea su Monti. E che rientra nelle facoltà del Capo dello Stato di pensare per tempo alle possibili soluzioni delle crisi future. Se non è “capriccio”, quindi, non può essere che “imposizione”. Quella che sarebbe stata compiuta su Giorgio Napolitano dalla pressione congiunta della Cancelliera tedesca Merkel e dall’allora Presidente francese Sarkozy, decisi a sbarazzarsi di un Premier italiano (Silvio Berlusconi) colpevole di opporsi alle loro pretese egemoniche sull’intera Europa.

C’è stata una “imposizione” del genere sul Quirinale da parte dei Governi tedesco e francese? Dopo le rivelazioni di Friedman, Napolitano non può sottrarsi a questo interrogativo. Anche perché gli indizi che pressioni in questo senso ci siano state non mancano. A partire dalle ammissioni fatte dall’allora premier spagnolo Zapatero, secondo cui nei vertici europei del tempo si vociferava esplicitamente della imminente cacciata di Berlusconi e della sua sostituzione con Monti. A finire con l’ormai accertata circostanza che la tempesta dello spread dell’estate del 2011 non fu spontanea, ma dipese dalla decisione del Governo di Berlino di vendere attraverso la Bundesbank tutti i titoli del debito pubblico italiano posseduti dalle banche tedesche. Decisione a cui seguirono per imitazione (fenomeno normale sui mercati finanziari) analoghe vendite da parte degli altri istituti internazionali.

Napolitano, quindi, deve chiarire se la crisi che portò alla dimissioni del Governo Berlusconi venne o meno imposta da governi stranieri. Se la scelta di Monti Presidente del Consiglio di un Governo tecnico venne sollecitata o meno dall’esterno del nostro Paese. E, soprattutto, se la linea di politica economica realizzata successivamente da Monti, incentrata sulla sola punizione fiscale degli italiani, sia stata “imposta” o meno da potenze estere.

Il chiarimento sarà sicuramente utile a chi dovrà scrivere in futuro la storia di quegli anni. Ma è indispensabile oggi per decidere il presente. Che non riguarda tanto la sorte personale di un Presidente della Repubblica. Ma quella generale di una nazione, che può rinunciare a parte della propria sovranità in nome dell’Unità Europea, ma a cui non si può sottrarre sovranità per gli interessi di chi considera l’Europa “cosa loro”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28