Dissidenti forzisti:   un’amara sorte

Tra i dissidenti del Partito Democratico e quelli di Forza Italia c’è un elemento in comune ed una profonda differenza. Ad unirli c’è l’uso strumentale della contestazione alla riforma del Senato e dell’Italicum, contestazione che in entrambi i casi usa lo spunto della critica alle riforme per aprire un contenzioso nei confronti dei leader del due partiti. Ciò che li distingue e li separa nettamente è che mentre il contenzioso dei dissidenti del Pd nei confronti di Matteo Renzi è una partita di irriducibili consapevoli di lottare per la loro sopravvivenza politica, quello dei dissidenti frondisti nei confronti di Silvio Berlusconi è solo una battaglia di posizionamento all’interno del partito in vista di futuri assetti ancora da definire.

Chi sostiene che l’approvazione delle riforme care al presidente del Consiglio dipenda sostanzialmente dalla tenuta del patto del Nazareno da parte di Forza Italia ed ipotizza che il partito del Cavaliere possa sfasciarsi, non calcola la differenza tra le nature delle due dissidenze. I contestatori interni del Pd sanno che eliminato il Senato elettivo ed introdotto l’Italicum dalle liste bloccate la loro sorte è segnata e la loro scomparsa dalla scena politica è solo questione di tempo.

Quelli di Forza Italia sanno invece che per posizionarsi al meglio all’interno del partito per strappare fette di potere ai fedelissimi del Cavaliere dovranno combattere molte altre battaglie. Ed è chiaro, sempre che la logica prevalga sugli umori variabili, che mentre la dissidenza del Pd non potrà non irrigidirsi quella di Forza Italia non potrà non affievolirsi mantenendo così in piedi il patto del Nazareno e la possibilità di arrivare all’approvazione delle riforme.

A questa grande differenza tra le due dissidenze se ne aggiunge una seconda, ancora più significativa della prima. I frondisti del Pd, in caso di rottura definitiva con Renzi, hanno una possibile via di fuga rappresentata in un’eventuale scissione tesa a dare vita alla riaggregazione dell’area post-comunista. I frondisti di Forza Italia, invece, dopo che le elezioni europee hanno dimostrato l’inconsistenza dei neocentristi di Alfano e la ridotta capacità di Fratelli d’Italia di recuperare il vecchio elettorato di An, non hanno alcuna possibilità di fuga. Possono solo continuare a trincerarsi dentro Forza Italia e nei propri collegi elettorali in attesa che la leadership di Berlusconi e la forza dei suoi fedelissimi si consumi definitivamente. Se ne avessero la forza potrebbero condurre la loro battaglia fuori dal Palazzo, imitando il percorso che all’insegna della rottamazione Renzi ha seguito per conquistare il Pd. Ma questa forza, al momento, sembra assente.

I dissidenti del Cavaliere possono avere al massimo (e solo in alcuni casi) un radicamento consistente nei rispettivi e ristretti territori d’influenza. Ma il terreno su cui si muovono più agevolmente e con maggior successo è quello delle stanze e dei corridoi parlamentari. E questa loro caratteristica li rende inadatti a promuovere ed a guidare un processo di rinnovamento del centrodestra condiviso e sostenuto dalla base elettorale dell’area moderata.

Il rischio che corrono, in sostanza, è di battersi all’infinito per un posizionamento che comunque è destinato ad essere spazzato via da possibili spinte di rinnovamento provenienti dagli elettori e non dagli eletti.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29