Per chi suona   la… campana

Il garantismo, parola usata e abusata. Raramente praticata, se non come retorica. Similmente al richiamo “hemingwayano”: la campana, si sa, suona sempre per gli altri, vero? E così sarà anche nel caso Galan, che, pure, abbraccia altri casi e che richiama inesorabilmente un qualcosa che vorremmo chiamare principio.

Il caso del deputato veneto attiene solo apparentemente alla Camera dei deputati cui appartiene e la cui presidente ha una fretta tremenda di affidarlo alle manette, convinta che non vi sia fumus perscutionis e che, soprattutto, sia rispettato il principio di uguaglianza fra i cittadini rispetto alla legge, cioè alle manette.

In realtà, Galan è il simbolo di una questione, di un principio, appunto, che sta scritto nella legge, nella Carta Costituzionale e nell’habeas corpus. C’entrano ben poco le prerogative e le immunità parlamentari con il principio sacrosanto che il carcere deve essere comminato dopo un processo di condanna e/o a fronte di pericolo di fuga, di reiterazione del reato, di manipolazione delle prove. Galan, uomo prima che deputato, è in ospedale, ha una gamba fratturata (ieri è uscito sulla carrozzina), è malato, ha chiesto un rinvio non concesso. Che cosa c’entra, allora, l’immunità parlamentare con la difesa del diritto alla difesa e, prima ancora, con la questione del carcere preventivo non giustificato proprio dalla situazione dell’imputato che non gli consente nessuno dei tre motivi per i quali dovrebbe essere affidato al carcere, fosse anche domiciliare?

Il sospetto del fumus persecutionis emerge proprio da una simile situazione, tanto più che l’ex governatore, pur avendolo richiesto, non è mai stato ascoltato dai magistrati. Si presume che lo vogliano ascoltare soltanto se in galera. Che c’è di nuovo in tutto questo affaire? Niente. Va così da più di vent’anni. Ma vent’anni e più dopo, siamo così sicuri che la colpa sia sempre dei giudici che pretendono la sottomissione della politica al loro potere, al loro commissariamento? Ovviamente questo processo di riduzione a ruolo ancillare della politica a poteri forti come la magistratura c’è stato e c’è. Ma che cosa ha fatto la politica per evitarlo? Che riforme ha prodotto? Soprattutto di fronte al carcere preventivo in un Paese dove più di diecimila carcerati si possono definire “innocenti” fino a prova contraria?

Perché non si è mai partiti da questo impressionante dato sul quale insistono le grandi battaglie, solitarie, radicali e del nostro meritevole Tribunale Dreyfus e di pochissimi altri come Ostellino? La risposta sta nella stessa accezione all’italiana del garantismo. Il quale, da noi e soltanto da noi, viene invocato a corrente alternata: dalla sinistra quando le interessa, e dalla destra, invece, pure. Con la differenza che la sinistra, almeno fino a Renzi, si è giovata del giustizialismo in chiave mediatico-giudiziaria (in cui la destra ha spiccato assai), dapprima per mandare a casa la Prima Repubblica e poi, in chiave antiberlusconiana, per eliminare il Cavaliere. Il quale, a sua volta, invece di riformare la giustizia cominciando dalla sua immonda e lunga coda carceraria, ha escogitato provvedimenti partendo dall’inizio, da se stesso, con risultati che tutti conosciamo. Oggi siamo di fronte a un quadro diverso dovuto anche all’assoluzione di Berlusconi da un processo in cui il circo mediatico-giudiziario, grazie al tritatutto mostruoso delle intercettazioni, ha dato il peggio di sé, finendo massacrato, per ora, da una sentenza che spazza via moralismi d’accatto e giacobinismi da strapazzo.

Certo, il Cavaliere ha subito un danno politico non riparabile, l’assoluzione è arrivata, ma il terribile è avvenuto. Tuttavia ci troviamo in una situazione nella quale potrebbe maturare la riforma delle riforme, quella della giustizia. Il caso Berlusconi e il caso Galan, due corni della stessa questione, potrebbero, dovrebbero servire per un nuovo inizio. Si invoca da più parti giacobine la necessità della sottomissione del potere politico al potere giudiziario. E l’arresto di un deputato ne sarebbe l’emblema più vistoso. Il garantismo, al contrario, non impone alcuna sottomissione, figuriamoci quella del potere rappresentativo a quello burocratico giudiziario. O viceversa, giacché il principio dell’uguaglianza vale per chiunque di fronte alla legge. Il garantismo certifica, semmai, il rispetto delle reciproche competenze fra cui, quelle del legislatore come prerogative primarie ed essenziali. A una sola condizione: che il legislatore faccia, finalmente, il suo mestiere: le riforme in nome dei principi di garanzia delle persona umana. Sia essa parlamentare o no. Se non ora, quando?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:24