Spettri autoritari   e durata legislature

Con tutto il rispetto che si deve al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, va detto che la sua assicurazione circa l’essenza di spettri autoritari volteggianti sulle riforme non rassicura affatto. Perché lo spettro c’è ed è anche bello grosso. E negarlo non serve affatto a spianare la strada per riforme istituzionali assolutamente indispensabili.

Parlare di spettro autoritario sulle riforme, infatti, non significa affatto battersi contro l’abolizione del bicameralismo perfetto. Significa, più semplicemente, riconoscere il significato reale e l’obiettivo concreto del processo riformatore in corso e mettere in guardia dal rischio che nella foga della riforma si possa finire nel pantano dell’autoritarismo.

I Padri Costituenti adottarono il bicameralismo perfetto per contrapporre al modello fondato sulla preminenza dell’Esecutivo del regime precedente un modello fondato sulla preminenza di un modello fondato non solo sulla preminenza del Parlamento, ma anche sulla natura consociativa delle scelte del Parlamento stesso. La preoccupazione che muoveva i Costituenti, in sostanza, non era solo quella di impedire il ripetersi di sbocchi autoritari riducendo il potere dell’Esecutivo attraverso la formula delle doppie assemblee legislative, ma anche quella di evitare che il prevalere (siamo nell’immediato dopoguerra ed all’avvento della guerra fredda) di una grande forza politica sulla concorrente potesse sfociare in una nuova guerra civile.

Le condizioni politiche di oggi sono completamente diverse da quelle della fine degli anni Quaranta. L’esperienza ha dimostrato che il parlamentarismo esasperato produce un effetto gravemente paralizzante in un’epoca in cui la velocità di decisione è diventata indispensabile. Di qui la necessità di ridimensionare il peso delle Camere a vantaggio del governo. E di farlo senza continuare a temere che un sistema maggioritario basato sulla preminenza di una forza politica sulle altre possa provocare una qualsiasi guerra civile. Ma la necessità di passare da un sistema paralizzante e superato ad un sistema più adeguato e funzionale non comporta la rinuncia alla individuazione dei pesi e dei contrappesi indispensabili per il corretto funzionamento della democrazia.

Per cui, di fronte ad una riforma che assegna al partito che vince le elezioni la possibilità di piazzare tutti i propri uomini nelle più alte cariche dello stato (dalla Presidenza della Repubblica a quelle della Camera e del Senato depotenziato, dalla Corte Costituzionale al Csm), denunciare il rischio di spettri autoritari non è un ostacolo alla riforme. È solo una legittima sollecitazione a che queste riforme non siano viziate dall’assenza dei pesi e dei contrappesi indispensabili nelle democrazie.

Qualcuno di questi pesi e di questi contrappesi è stato indicato nel corso del dibattito in corso. Dalla riduzione dei senatori di nomina quirinalizia alla partecipazione degli europarlamentari all’elezione del capo dello Stato. Ma nessuno si è mai sognato di proporre l’unica formula nata dall’esperienza altrui in grado di ridurre al minimo il rischio di uno spoil system autoritario. Quella della durata delle legislature e dei mandati delle massime cariche dello Stato. Con un sistema fondato sul parlamentarismo esasperato era logico fissare legislature lunghe cinque anni, mandati presidenziali di sette anni e nomine sfalsate ma sempre di lunga durata per i membri della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura.

In un sistema fondato sulla supremazia di un Esecutivo ed a rischio di spoil system autoritario diventa indispensabile prevedere che la durata di legislature e di mandati siano uniformate e ridotte a quattro anni. Per attribuire al corpo elettorale il ruolo di contrappeso indispensabile al potere rafforzato dell’Esecutivo!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:27