Massacri e paura   in... mondovisione

Bisogna ricorrere alla grande letteratura per comprendere a fondo ciò che ai più, rovinati dalla subcultura mediatica, sfugge. O che appare né più né meno come un complotto, un’oscura minaccia dei poteri forti.

L’odio ideologico anti-americano è duro a morire, basta leggere le reiterate dichiarazioni del grillino Alessandro Di Battista a proposito di Isis, terrorismo e decapitazioni. È un riflesso condizionato della sinistra d’antan, ossessionata dal terzomondismo antioccidentale.

L’ausilio dei grandi scrittori soccorrerebbe e illuminerebbe come un lampo ciò che, in realtà, è chiaro e che, appunto, romanzi e poesia ci svelano. Prendiamo il leggendario patto del Nazareno. Un minuto dopo la sua firma, si è avviata la grande macchina della dietrologia, del gossip, del “cosa si sono detti da soli” Matteo e il Cavaliere. Per mesi, persino nel corso delle diatribe sul Senato, il ricorso al retroscenismo interessato ha prevalso su quella che l’immortale Edgar Allan Poe aveva mostrato col suo giallo “La lettera rubata”. “La lettera rubata” nascosta chissà dove dal ricattatore di turno è invece in bella mostra, non è stata occultata ma, al contrario, lasciata davanti agli occhi di tutti. Il patto del Nazareno è, a modo suo, il corrispettivo, la metafora de “La lettera rubata”.

Ma attenzione: prima la nascita della televisione e poi l’avvento di Internet hanno modificato non i termini della questione posta da Poe, ma li ha moltiplicati, diffusi, massificati. Cosicché le “lettere rubate”, ma a tutti gli effetti lasciate in bella mostra, sono cresciute in tale misura e, contestualmente, in tale confusione da rendere ancora più faticosa la loro decrittazione.

Uscendo dal nostro cortile, l’irruzione in tv dell’esecuzione del povero Foley è un esempio della visibilità coatta imposta da una programmazione dell’assassinio a scopo intimidatorio e con finalità terroristiche. La scena del crimine è ben studiata, il set è accurato, le riprese buone. Basta questo per renderci conto che la civiltà dell’immagine si è capovolta nel suo rovescio con il medium divenuto funzionale a un crimine aberrante ma, al tempo stesso, ammonitore nel suo ritualismo parareligioso. Contagioso, suggestivo – su Internet ovviamente – il taglio della testa non è stato censurato, giacché la decapitazione è il climax della stessa narrazione.

Tutto dunque è visibile nell’era internet abbinata alla tv. Le lettere non sono più rubate, non più nascoste, ci vengono sbattute in faccia quotidianamente, secondo i ritmi e i flussi di una narrazione ben finalizzata.

Il mattatoio iracheno prelude alla guerra santa con i genocidi di cristiani e yazidi cui si sono opposte tante parole e pochi fatti, sintomo di una pigrizia occidentale che sfiora la voluttà del suicidio e adombra la sindrome di Monaco. Ci sono altre immagini, altri massacri. Il mattatoio nel Mare Nostrum è il parallelismo lugubre dei riflessi di quella guerra santa che è ormai, a tutti gli effetti, una guerra di civiltà. Il significato dei due eventi è lo stesso. Il loro messaggio è la paura, non dell’ignoto ma del visibile, del verificabile a casa nostra.

Quando i morti in mare sono oltre duemila e quando i “migranti” superano le centomila unità, ecco che queste scene si trasformano in icone del male e dell’orrore oltre a rappresentare una sollecitazione di timori e di immanenti catastrofi.

L’errore del nostro Governo è di non avere posto un termine fin dall’inizio all’operazione. La soglia della paura è stata superata e i rischi di un’invasione indotta appaiono sempre più minacciosi. Caro Alfano, errare humanum est, perseverare autem diabolicum.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22